L’attuale sistema internazionale è caratterizzato da profonda instabilità. Rispetto agli anni della Guerra Fredda, il mondo di oggi sta mutando a velocità straordinarie e la sua evoluzione diventa di difficile lettura.Questa profonda trasformazione, e l’emergere di tematiche sempre meno caratterizzate dall’ideologia e sempre più da valori “pre-moderni” come quelli etnici o religiosi, sta provocando generalizzata insicurezza e faglie di crisi in tutto il globo.
Non vi è area del mondo che non abbia un conflitto in corso o un conflitto latente, ma pronto a deflagrare. I recenti sconvolgimenti che hanno attraversato tutto il mondo arabo sono solo l’ultima manifestazione di un mondo in crisi e in bilico. In pochi giorni, sono cambiati governi e si sono ribaltate situazioni fino a poco prima cristallizzate e che, molti, ritenevano quasi immutabili.
In realtà, il grande insegnamento di questi giorni è che non c’è niente di scontato e immutabile. Le proteste che hanno scosso il Medio Oriente nascondono un disagio profondo che cova in tutta la società dei Paesi arabi, afflitta da problemi sociali di ogni tipo ed in cui spesso l’alternativa al fondamentalismo islamico è rappresentata da regimi militari o personalistici, altrettanto anti-democratici. Mubarak, Ben Alì, Gheddafi, tutti leader accomunati dalla medesima vocazione laica e anti-fondamentalista, ma che ad un certo punto si son trovati a dover fare i conti con gli effetti provocati dalla chiusura dei loro regimi, saltata improvvisamente per le pressioni popolari. In generale il mix tra bassi livelli di sviluppo economico, sperequazioni sociali, fattori accentuati dall’impatto della crisi economica globale, e chiusura dei sistemi politici, può essere considerato il presupposto da cui le agitazioni hanno preso le mosse. L’uso dei nuovi Media – social network, cellulari ecc.. – ha solo fatto da detonatore ha una situazione ed una congiuntura che, da anni, recava in sé il germe della contestazione del sistema.
La crisi economica mondiale ha provocato gravissime ripercussioni su queste paesi, le cui economie sono storicamente condizionate da una serie di fattori strutturali di debolezza. Il primo, è la dipendenza, soprattutto nel caso di Algeria e Libia, dal settore energetico che, di fatto, negli anni ha creato un ingessamento ed una rigidità del settore economico. Il secondo fattore è il legame tra i settori a più alto valore aggiunto e gli investimenti esteri, laddove, sul piano locale, il maggiore investitore resta lo stato. Infine, i livelli di corruzione e inefficienze, patologicamente alti. Questi fattori, combinati assieme, rendono le economie dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente asfittiche, prive di dinamismo e con scarse opportunità, soprattutto per le nuove generazioni, i cui livelli di disoccupazione si aggirano sempre sul 30%, fino ai tassi patologici dell’Egitto del 50%.
In ogni paese, poi, si è registrata una maggiore o minore incidenza di un elemento piuttosto che dell’altro tanto che, anche gli stessi esiti sono stati diversi. In Tunisia, la rivolta ha assunto caratteri prettamente sociali, spinta dalla crisi economica, in Egitto, invece, il carattere della rivolta è stato marcatamente politico e diretto principalmente verso la chiusura politica del regime di Mubarak. La Libia ha presentato un ulteriore elemento di caratterizzazione. Qui, le ribellioni si sono presto trasformate in una rivolta tribale e separatista contro il regime accentratore del Colonnello Gheddafi. In altri termini, l’effetto domino, in Libia, ha accentuato le tradizionali divisioni del paese: da un lato, dando forza alle istanze autonomiste/separatiste della Cirenaica nei confronti del potere della Tripolitania, dall’altro, spingendo anche quelle tribù della stessa Tripolitania storicamente nemiche di Gheddafi a cercare di mutare lo status quo a proprio vantaggio.
Questo lavoro voleva pertanto illuminare questa situazione, legandola assieme in una trama unica, fornendo un’istantanea dei maggiori scenari di crisi e di tutti i rischi politici associati. Ogni contesto è stato sviscerato nelle sue dinamiche politiche e di sicurezza, ne sono state descritte le cause e delineata la possibile evoluzione. Ognuno potrà così farsi un’idea dei soggetti politici rilevanti, dei protagonisti in positivo e negativo, e di ogni singola crisi, delle sue cause, dei suoi sviluppi e della sua evoluzione. Potrà, forse, saperne qualcosa di più gettando il proprio sguardo anche laddove quello dei giornali è colpevolmente assente. L’opera è stata suddivisa in macro-regioni. Per la precisione, sette: Medio Oriente, Africa, Asia, Caucaso e Asia Centrale, Sudamerica, Nordafrica e Balcani. Per ciascuna macro-regione è stata stilata un’introduzione per delinearne il quadro generale e gli sviluppi tendenziali. Ogni macro-regione è stata poi suddivisa in scenari di crisi, presentati poi sotto forma di schede. Per il Medio Oriente, per esempio, sono state presi in considerazione la crisi palestinese, la guerra civile libica e così via. Ma l’opera non ha voluto tralasciare neanche il “continente dimenticato”, ovvero l’Africa eternamente arrovellata sulle sue contraddizioni e dilaniata in modo permanente da guerre civili e scontri a carattere etnico e tribale.
E poi, ancora, l’Asia, dove focolai di instabilità sono accesi in Afghanistan e Pakistan, senza dimenticare l’Iran dove l’Onda Verde non si è mai arrestata e dove già dal 2009 era per la prima volta emersa l’importanza, con tutta la sua dirompenza, dell’effetto dell’uso vari Facebook o Twitter. Infine, l’opera è stata chiusa da delle conclusioni nelle quali si è cercato di trarre un bilancio e di delineare gli sviluppi tendenziali degli scenari presi in esame. Nella consapevolezza che nella politica internazionale nulla è più incerto della certezza.
mg
Andrea Margelletti, un mondo in bilico, Eurolink da il secolo xix