Intervista a Donald Sassoon di Filippo Maria Battaglia
Cultura? “Una parola strana e insidiosa”. “Al singolare, ha un significato ben diverso dalla sua accezione al plurale”. Nel primo caso “è assolutista”, nel secondo “relativista”. “‘Denota cioè una serie di valori, ma anche di consuetudini: il cibo che mangiamo, gli abiti che indossiamo, l’uso del tempo libero, i rituali che osserviamo, le tradizioni che abbracciamo o inventiamo e le idee che seguiamo. In questo caso la cultura, per usare un’espressione corrente, è uno stile di vita”. Parola dello storico Donald Sassoon, professore di storia europea comparata al Queen Mary College di Londra e autore, da ultimo, di un monumentale saggio su La cultura degli europei dal 1800 a oggi.
Vastissimi i temi trattati. E numerosi i pregiudizi che si possono annidare nella vulgata di tutti i giorni. A cominciare dalla supposta differenza tra “cultura alta” e “cultura bassa”: “Una diversità – spiega Sassoon a Bookavenue – che è da sempre determinata da coloro che fanno parte del primo gruppo e che tuttavia non ha mai avuto dei confini rigidi e determinati. I limiti delle due categorie, infatti, sono fonte di dispute continue. Nel mio libro tengo presente la differenza, ma cerco di storicizzarla, facendo capire come opere che un tempo potevano considerarsi di ‘cultura alta’ siano poi diventate di ‘cultura bassa’, e viceversa”.
Ma si può sostenere, come qualcuno ha fatto anche di recente, che entrambe vadano di pari passo con la democrazia?
No, è un binomio falso, che non ha senso. Certo, farebbe piacere a tutti sostenere una simile tesi, ma purtroppo non è così. La cultura esiste da quando ci sono società organizzate – parliamo dunque di millenni; le democrazie sono arrivate molto tempo dopo. E poi anche nell’Unione Sovietica di Stalin e nel Terzo Reich di Hitler c’era cultura.
E nell’Italia di oggi? Si dice spesso che il ritardo della creazione di uno Stato italiano abbia inciso negativamente sulla nostra coscienza civile…
Parlare di ritardo nella creazione di uno Stato unitario è un vero non senso, semplicemente perché non c’era nessun obbligo di crearne uno solo: anziché un unico Stato unitario, se ne potevano costituire tranquillamente cinque o sei. Quell’esito è soltanto il risultato di un processo storico. Del resto, nessuno può dimostrare come sarebbero andate le cose in altre circostanze. Simili interpretazioni fanno parte di una visione deterministica che, a mio parere, non aiuta a comprendere la realtà.
A proposito del passato: negli ultimi due secoli, qual è stato il momento di maggiore fortuna della cultura nostrana?
Se con ciò intendiamo la capacità di esportazione dei “prodotti italiani”, potrei citare certamente l’Opera. Ma in questo settore è sempre difficile dare una patente di nazionalità. Macbeth e Falstaff sono due capolavori nati dal grande genio di Verdi e dunque sono opere italiane ma, per i temi trattati, sono anche un po’ inglesi: come tutti i veri artisti, il grande compositore italiano cercò di utilizzare vari elementi provenienti non soltanto dal suo Paese, ma più generalmente legati alla cultura europea.
Televisione, teatro, musica e cinema: certi critici sostengono che alcune di queste attività siano incompatibili con la lettura, o quantomeno che ne ostacolino la diffusione…
Cos’è meglio tra un romanzaccio semipornografico e un documentario sulla Seconda guerra mondiale? Come vede, i margini sono sempre molto labili e relativi e vanno giudicati da caso a caso. Ciò che si può sostenere con certezza è che da quando c’è la tv si leggono più libri.
Internet e le nuove tecnologie hanno dato una mano?
Se per cultura non intendiamo soltanto il classico libro stampato, possiamo dire sicuramente che Internet ha svolto un ruolo determinante. Oggi, un intellettuale dell’Uganda può leggere il New York Times e qualsiasi altro quotidiano, e farlo soprattutto gratis e immediatamente, cosa che un tempo non poteva fare. Certo, può guardare con altrettanta tranquillità siti pornografici. Ma dire che ciò sia un male sarebbe come replicare le lamentele di chi anni addietro si scagliava contro la fotografia per il solo fatto che c’era un ampissimo mercato nero di foto che ritraevano donne nude.