van dyck
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In un pomeriggio dello scorso ottobre, mentre ero in biblioteca per ritirare alcuni libri che avevo prenotato, mia figlia, che nel medesimo istante si trovava a Londra nella National Gallery, mi manda una foto su WhatsApp con questo commento “Guarda!, bello questo quadro!”: guardo la foto e sorrido, pensando che la vita è proprio buffa, meravigliosamente buffa.
Prendo in prestito da Wikipedia la definizione di sincronicità: è un concetto introdotto dallo psicanalista Carl Gustav Jung nel 1950, definito come «un principio di nessi acausali» che consiste in un legame tra due eventi che avvengono in contemporanea, connessi tra loro, ma non in maniera casuale, cioè non in modo tale che l’uno influisca materialmente sull’altro; essi apparterrebbero piuttosto a un medesimo contesto o contenuto significativo, come due orologi che siano stati sincronizzati su una stessa ora.
Parafrasando, mentre la bibliotecaria mi allungava il libro di Jean-Philippe Postel “Il mistero Arnolfini” che non vedevo l’ora di leggere, mia figlia nel medesimo istante si trovava davanti al vero quadro ed ha sentito l’impellente urgenza di mandarmi la foto, così, senza un vero motivo (la foto in questione è a corredo di questo pezzo).
La vita mi sorprende sempre, e mi ritengo molto fotunata perchè tendo ad avere uno sguardo curioso su quello che mi accade, sempre pronta a scoprire che splendidi ricami si scoprono tra le pieghe del tessuto di cui è fatto il mondo.
Ed è con questa sincronicità che prende avvio la mia lettura di questo breve ma interessantissimo libro.
Il quadro denominato Il ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck è famosissimo ma forse non tutti sanno che un fitto mistero lo avvolge, questa la sorprendente ed eloquente descrizione del Catalogo della National Gallery: Il soggetto di questo dipinto non è stato ancora chiaramente stabilito.
Non è forse un inizio promettente?
Il ricco mercante lucchese Niccolò Arnolfini, che si credeva fosse raffigurato in questo quadro, in effetti è stato raffigurato in altri dipinti, ma non somiglia affatto all’uomo vestito di scuro con indosso un cappello nero che vediamo accanto alla donna vestita di verde.
Oltre ad essere un piacevole excursus della presenza del quadro nella storia, questo libro è, sorprendentemente, una vera e propria indagine: Postel analizza ogni centimetro del quadro, ci passa una lente d’ingrandimento e ci mostra dettagli che ad un primo sguardo, anche il più attento, ci sarebbero sfuggiti; ad esempio il cagnolino che vediamo in primo piano non ha il corrispondente riflesso nello specchio posto dietro di lui, e nello stesso specchio scopriamo due figure che però non vediamo, perchè alle nostre (virtuali) spalle. La mano dell’uomo, se osservata con la riflettografia all’infrarosso, risulta essere l’unico dettaglio di tutto il quadro ad essere stata dipinta e ridipinta più volte. Come ci spiega l’autore pagina dopo pagina, pare che ogni elemento presente abbia un simbolismo celato o supposto: dall’ unica candela accesa sul lampadario nonostante sia giorno, della disposizione degli zoccoli o delle piccole e rosse ciliege che scorgiamo nell’albero che si intravede dalla finestra.
Tutti i dettagli parlano: il griffoncino, lo specchio e i medaglioni incastonati nella sua cornice, il Leone e il diavolo di legno, l’arancia sul davanzale, tutti bisbigliano qualcosa. Simboli sorprendenti si affollano al nostro sguardo, e sotto la sapiente guida dell’autore, ogni elemento rappresentato cambia significato man mano che procediamo nella lettura.
Come in una appassionante caccia al tesoro Postel ci porta a scoprire tanti piccoli indizi, ci suggerisce avvincenti soluzioni a piccoli enigmi che sorgono osservando questo magnifico quadro; ci sussurra all’orecchio parole che ci fanno sobbalzare sorpresi, mentre cominciamo a vedere quello che mai, avremmo saputo comprendere ad un primo sguardo.
E come nella migliore caccia al mistero, guidati da Postel arriviamo forse alla fine del libro con più dubbi che certezze, ma sicuramente non tralasceremo più di portare con noi una lente, la prossima volta che andremo in un museo …
Perchè come dice Daniel Pennac (non vi avevo ancora detto che la prefazione a questo libro è la sua, vero?): Ma, checché si sia detto al riguardo, un mistero resta ancora irrisolto: ci troviamo, contemplandolo, nella situazione del lettore di un romanzo giallo, al quale manca l’ultimo capitolo. Ci attira, ci magnetizza, si potrebbe quasi dire che ci chiami, ma abbiamo un bel guardare, non ci vediamo niente, o, piuttosto, vediamo che c’è qualcosa da vedere, ma non capiamo cosa. Non cogliamo il nocciolo. Il senso ci sfugge. Arrangiatevi con questo, ci dicono l’uomo e la donna che da più di centocinquant’anni chiamiamo I coniugi Arnolfini.
A proposito, il messaggio successivo di mia figlia, dopo avermi mandato la foto, diceva così: Mamma, ma tu lo sai perchè quelli che sono davanti al quadro hanno una lente in mano?

Per BookAvenue, Marina Andruccioli


Il libro:
Jean-Philippe Postel,
Il mistero Arnolfini.
Indagine su un dipinto di Van Eyck
Skira edizioni
2017, pp.128


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