Una sera di qualche tempo fa, mentre parlavamo di musica, a cena con degli amici, ho chiesto al mio due di coppia di raccontare quella volta che al Blues Halley di Georgetown nel ’88 si mise in ginocchio davanti ad un sassofonista. I suoi racconti hanno sempre l’effetto saporifero di una fiaba che si legge ai bambini per farli addormentare; corsi il rischio sapendo però che il suo amore per il jazz avrebbe potuto rianimare una serata piuttosto moscia. Raccontò che, guidato dalla Lonely Planet, alla ricerca di un locale dove ascoltare musica, capitò di imbattersi in questo locale e riconoscere l’autore di un paio di dischi già in suo possesso. Entrò mentre il tizio suonava Winelight. Alla fine del concerto gli si avvicinò e, non so con quale inglese si espresse, gli raccontò da dove veniva, del viaggio e della fortuna di averlo trovato per caso. La foto-polaroid, decisamente vecchia a guardarla oggi, suggellò l’incontro: la conserva come un cimelio. Per la cronaca: a fine racconto, metà delle persone si erano addormentate sul tavolo.