Sopporto male gli autori che danno alle stampe le loro memorie. Ci vuole un ego ipertrofico oltre ogni dire per pensare che la propria esistenza sia così interessante da meritare di permanere a dispetto degli alberi sacrificati a immortalarla. Alle memorie di Mary McCarthy si aggiunge l’aggravante della sua scintillante impudenza: è un’intelligenza ingombrante che sa tutto, ricorda tutto o comunque è in grado di porsi il dubbio, non risparmia niente a nessuno (a onore del vero nemmeno a se stessa) e giudica e commenta ogni cosa; nelle pagine che seguono vi accorgerete che ha già scritto lei anche la sua prefazione, giusto per dire che a questo libro non servirebbe una sola riga in più, tantomeno mia. Immagino sia proprio per questo che la voglio scrivere: l’impudenza è una delle poche temerarietà che invocano compagnia.
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A passeggio con Charles Mingus
Raramente capita di pensarci, ma stamattina mi sono accorta di abitare a Roma. So bene che state pensando che sia impazzita improvvisamente ma se resistete qualche minuto tento di spiegarvi come e cosa è successo.
Sono le otto e mezza e il mio due di coppia mi ha lasciata alla metro. Venendoci, mi ha raccontato dell’ora di macchina che lo affligge da qualche giorno e di come mettersi in moto, sapendo quello che quasi certamente lo aspetta, è come stringersi la corda al collo da soli. Mi ha intenerito sapendo che non avrebbe neanche potuto indossare le cuffiette per ascoltare la sua musica.
David Forster Wallace. Un baule pieno di gente
Cinque anni fa il suicidio di David Foster Wallace, scrittore molto amato o molto odiato, a seconda dei gusti, ma senza dubbio cruciale per l’influenza esercitata nella letteratura americana (e mondiale) da libri come Infinite Jest. Da allora, negli Stati Uniti, sono usciti quattro libri postumi. This Is Water (Questa è l’acqua, Einaudi), volume costruito attorno al testo di un discorso pubblico tenuto dal podio del Kenyon College in occasione della consegna del diploma nel 2005. Fate, Time and Language, la sua tesi di laurea in Filosofia.
Podcast. Ornette Coleman. Un caratteraccio al servizio del jazz.
Nascere nel 1930 a Fort Worth in Texas, in pieno regime razziale, non deve essere stato facile per quella generazione (e anche per le successive, come sappiamo). La musica, si sa, ha rappresentato per molta gente di colore molto di più che una fuga: è stata una speranza. Coleman ha imparato a suonare il sax a 14 anni e a 15 ha formato la sua prima band. Ma il clima di quegli anni non lo aiutò, ecco perchè a soli 19 anni se ne andò a Los Angeles in cerca di lavoro. Non fu molto facile: il suo proverbiale carattere controverso e le sue idee in fatto di musica di certo non lo aiutavano a trovare una band dove suonare.
L’Antartide di Laura Pugno
di Michela Murgia
Immaginate che vostro padre muoia e il notaio vi comunichi che tutto quello che avrebbe dovuto spettarvi per diritto ereditario sia invece finito nelle casse di una strana casa di riposo, un luogo ameno e fuori dai tracciati che sta sul confine tra l’Italia e un’altra nazione. Se il vecchio genitore in quella casa non è mai stato ospite, forse anche al figlio più distaccato potrebbe venire voglia di andare a scoprire cosa c’è dietro quel lascito incomprensibile.
Podcast. Biografia di Dio: Miles Davis
Come si fa a scrivere qualcosa su Miles Davis senza essere banale, sufficiente, parziale, inadeguata?
Miles Davis è stato un musicista che odiava le etichette (come ad esempio Cool Jazz, Hard Bop, era persino contrario al termine Jazz, inventato- secondo lui- dai bianchi per commercializzare la musica afroamericana) Questo suo atteggiamento – o più correttamente questa sua visione della musica – è ciò che ha permesso al Jazz di uscire dal “ghetto” dei locali per soli neri, facendo sì che si affermasse come linguaggio musicale universale, abbattendo i confini dei vari generi musicali.
Podcast. Belli e Dannati: Chet Baker
La discografia di Chet Baker è sconfinata ma i dischi passati alla storia non sono moltissimi. Eppure è difficile trovare un disco che non riservi qualche emozione profonda, emozione di tipo musicale e non dovuta all’alone di poeta maledetto che gli si era appiccicata col tempo. Questa apparente contraddizione si spiega col fatto che Chet aveva una grande musicalità, una enorme sensibilità ed una forte voglia di suonare sempre cose nuove.
Il suo successo iniziale, nei primi ’50, è improvviso e folgorante: My funny Valentine, incisa col quartetto di Jerry Mulligan, lo lancia tra le nuove stelle del jazz.
La sua tromba morbida e senza vibrato si riallaccia a quella di Bix (ma anche al nuovo guru Miles Davis: prossimamente su queste pagine), ma il contesto è più morbido (anche se Chet allora suonava spesso bop) e Chet è bello e bianco ed oltretutto canta con una “voce d’angelo”.
Strani oggetti coperti di pelo che spezzano il cuore
La scrittura di Barthelme (“scrivi di ciò che hai paura” diceva spesso quando era docente di scrittura creativa presso l’Università del Texas) è stata spesso paragonata a quella di Barth, Pynchon, Vonnegut…
Si può dire che una manciata di moderni scrittori americani hanno plasmato l’arte del racconto e sono Ernest Hemingway, Katherine Anne Porter, JD Salinger, Raymond Carver, oltre a Donald Barthelme, il più sorprendente e quello più fuori dagli schemi del lotto. Ma anche il più divertente. Colui che ha portato il surrealismo e il dadaismo mainstream nella narrativa americana.
Camilleri-Lucarelli: è già bestseller
Esce oggi l’atteso nuovo romanzo dell’inedita coppia Lucarelli-Camilleri.
Un gioco, un esperimento, una collaborazione letteraria senza precedenti: i due «re» del giallo italiano contemporaneo, entrati in contatto durante le riprese del documentario A quattro mani (minimum fax media 2007), uniscono le forze e ci regalano una storia che vede protagonisti i loro personaggi di maggior successo: il commissario Salvo Montalbano e l’ispettrice Grazia Negro.