Come in tutte le storie familiari, gli anni stratificano le epoche con cui queste si sono costruite e sono andate avanti. La musica ha avuto, come tutte le cose, i segni distintivi delle passioni che si sono succedute; ci sono state diverse “mode” annuali così come mi piace ricordarle e altre più durature. Una di queste, ed è il tema del nostro appuntamento di questa settimana, è dedicata al mio musicista jazz preferito in assoluto, passione trasmessami da mio marito e fatta mia nella maniera più totale e coinvolgente che possiate immaginare.
I suoi dischi hanno testimoniato il passare degli anni con immutato amore ed è di gran lunga la “fila” più lunga nella discoteca di casa. I suoi concerti nelle varie città nel nostro Paese sono stati i soli per i quali abbiamo fatto sempre volentieri delle “trasferte” e, vi assicuro, ne è sempre valsa la pena.
Podcast Vol. 4. Pat Metheny, ovvero: come il jazz può salvarvi la vita. Parte seconda.


Senza ombra di dubbio Wynton Marsalis è il jazzista più famoso degli ultimi anni. Salito alla ribalta durante gli anni Ottanta con il movimento degli “Young Lions” si è subito imposto all’attenzione di critici e case discografiche con il suo quintetto che si ispirava a quello di Miles Davis della metà degli anni Settanta. Cresciuto musicalmente a New Orleans, tra esperienze scolastiche e insegnanti di tromba, fino a diciotto anni, si trasferisce subito dopo a New York per studiare musica. Nella Big Apple viene subito notato dal batterista Art Blakey che lo fa entrare nei Jazz Messengers. Nel 1981 lo chiama il pianista Herbie Hancock e lo porta in tournèe con il suo quartetto.
Dio c’è e, senza peccare di apostasìa, è sceso in terra sotto le mentite spoglie di Keith Jarrett. Questo straordinario uomo e compositore, pianista e (udite, udite) clavicembalista nato ad Allentown (Pennsylvania), negli Stati Uniti l’8 maggio 1945, è considerato tra i più importanti pianisti jazz viventi. 
Avevo promesso di occuparmi di libri e dischi. Scuserete se comincio dopo settimane di pensatoio e svariati contrattempi, soprattutto lavorativi, che mi hanno impedito di essere prima di adesso con voi. Chi non ce l’ha queste menate, direte voi. Immedesimatevi nella vita di una donna tra lavoro e famiglia e un mal di schiena che non finisce più e, poi, certe giornate che proprio non vogliono finire. Capite bene che essere esauste non aiuta. Non mi illudo che gli uomini capiscano; chiedo venia, quindi, solo alle donne.