‘L’ultima volta che siamo stati bambini’ è un libro che Marina Andruccioli consiglia caldamente di leggere, abbastanza sicura che anche voi, come lei, vi innamorerete di questa storia dal valore profondamente attuale considerate le molte guerre in atto, senza dimenticare cosa sia stato il fascismo e dove ha condotto l’Italia dal ventennio fino all’immediato dopoguerra. Domandiamoci cosa significhi essere bambini al centro di una guerra, qualsiasi essa sia.
L’ultima volta che siamo stati bambini



Il mio primo Festivaletteratura è stato quindici anni fa. Presi un treno per Mantova dopo aver studiato febbrilmente l’itinerario su quei libretti che poi sono spariti con l’avvento di internet. Ero appena maggiorenne e dissi a mia madre che sarei tornata nel pomeriggio, anche se in verità avevo già prenotato una stanza. La sera infatti telefonai per dire che mi sarei fermata una notte, ma le notti diventarono presto quattro… e sul mio vecchio Quaderno dei Pensieri ci sono ancora l’autografo di Fosco Maraini, una foto sbiadita di Jhumpa Lahiri (lo scotch ha ormai trapassato la pagina) e un articolo su David Grossman. E poi pagine fitte di citazioni ed emozioni diciottenni, fra cui alcuni curiosi appunti sul suono della voce di Grossmann quando parlava in ebraico. >>

di Oren Lavie e Wolf Erlbruch
Una volta mi hanno spiegato la differenza tra scrittore e narratore. A me l’avevano detta meglio, ma io ve la rigiro così: il narratore è quello che ti fa voltare velocemente una pagina dopo l’altra perché sei curioso di vedere come prosegue la storia e come va a finire. Lo scrittore è quello che ti fa fermare su parole, frasi, suoni, metafore, immagini, riflessioni e… tutto.