Ian McEwan, Nel guscio

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   Tempo di lettura: 2 minuti

Dunque eccomi qui, a testa in giù in una donna. Braccia pazientemente conserte ad aspettare, aspettare e chiedermi dentro chi sono, dentro che guaio sto per cacciarmi, chiudono gli occhi di nostalgia al ricordo di quando fluttuavo libero nel mio sacco opalescente, a spasso dentro la bolla sognante dei miei pensieri, tra capriole al ralenti in un oceano privato, e delicate carambole contro i confini trasparenti della mia prigione, quella membrana sicura che, pur attutendole, vibrava insieme alle voci di cospiratori intenti a una macchinazione odiosa. Succedeva nella spensierata stagione della mia giovinezza. A questo punto, ormai completamente capovolto, con le ginocchia schiacciate al petto e senza margine di movimento, non ho soltanto la testa impegnata ma anche tutti i pensieri. Non ho più scelta, un orecchio è premuto giorno e notte contro le pareti irrorate di sangue. Ascolto, prendo appunti mentali, e mi preoccupo. Tra lenzuola sento discorsi efferati e mi agghiaccia il terrore di quel che mi aspetta, di quel che potrebbe compromettermi.

Un sorprendente, spiazzante McEwan, che riprende uno dei topoi più produttivi e longevi della tradizione letteraria – quello dell’Amleto di Shakespeare – rielaborandone la trama in qualcosa di curioso e inatteso che colpisce per la raffinata evoluzione del pensiero e del sentimento.

«O Dio! Io potrei essere confinato in un guscio di noce e credermi re di uno spazio infinito… se non fosse che faccio brutti sogni». La citazione amletica è già un programma, allo stesso modo della madre Trudy (come Gertrude, la madre di Amleto) e dello zio Claude (lo zio Claudio della tragedia shakespeariana) che un po’ ricordano anche Macbeth e Lady Macbeth (sempre Shakespeare docet), ovvero crudeltà e virilità a confronto, tradimento, desiderio di vendetta, cupidigia e gelosie… un intrico magmatico in cui due identità perdono i rispettivi confini.

Chi narra la storia è un bambino non ancora nato che ci parla da dentro il ventre materno narrandoci di sua madre e suo zio (che è l’amante della madre) che stanno pianificando di uccidere suo padre. E da qui iniziano tutta una serie di accadimenti con le caratteristiche stringenti di un thriller mozzafiato che fa riflettere e che ti cambia l’ordine delle idee.

Ian McEwan, Nel guscio, traduzione di Susanna Basso, Einaudi 2017.

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Marco Crestani

"In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose e oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso, e dotare questi oggetti - una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino - di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocuo e far sì che provochi al lettore un brivido lungo la schiena… Questo è il tipo di scrittura che mi interessa più di ogni altra. Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa…"(Raymond Carver)
http://libereditor.wordpress.com/

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