Riscrivere i diari di Etty Hillesum per un pubblico di giovani lettori sarebbe potuta essere un’impresa quantomeno rischiosa, se non addirittura fallimentare per ragioni di diversa natura, non ultima quella dell’età di Etty al momento della stesura dei suoi diari. Era una donna quasi trentenne, nel fiore di un età che si era andata conquistando, in modo assolutamente non convenzionale per quei tempi, e lontana anni luce dai tempi attuali dei nostri lettori e quindi per questo con scarso potere di immedesimazione da parte loro.
Eppure Matteo Corradini, scrittore per ragazzi, studioso di ebraistica e non da ultimo curatore della versione più recente del Diario di Anne Frank, lo fa con una maestria e con un rispetto filologico del pensiero e in alcuni casi anche delle singole parole di Etty Hillesum, davvero straordinario.
Non era possibile infatti, riscrivere semplicemente adattando, se così si può dire, le pagine intensissime dei diari di Etty Hillesum, che vanno dal marzo del 1941 fino ad agosto del 1943, se non dando vita a trasmigrazione poetica.
Così Matteo Corradini sceglie di immaginare, di trovare una chiave attraverso la quale poter entrare e far entrare a sua volta il lettore nella vita straordinaria eppure ordinaria di questa giovane donna ebrea olandese.
Sì, straordinaria e ordinaria, perché in realtà Etty Hillesum, non ha compiuto gesta platealmente eroiche, non aveva una vita in prima linea nella resistenza contro i nazisti, non ha salvato un solo ebreo dalla deportazione, non ha salvato neppure se stessa. Era un’insegnante di russo, lingua che aveva imparato ad amare, grazie alla madre, russa ebrea, e per mezzo della quale lavorava, dando lezioni private e insegnando nell’Università Popolare di Amsterdam. Fino a quando lentamente e con una “banalità del male” sconcertante, le leggi razziali cominciano a stritolare, chiudendo in un vortice sempre più oppressivo, le vite dei moltissimi ebrei olandesi di Amsterdam, tra i quali Etty Hillesum.
È anche per questa ragione che, su suggerimento di Julius Spier, che nei diari compare con S., uno psico-chirologo, verso il quale nutrirà un amore profondissimo, e una grande stima e ammirazione, inizierà a tenere un diario.
Ed è qui che entra in gioco la dimensione straordinaria di Etty Hillesum: le pagine bianche dei suoi diari diventano infatti il terreno fertile per mettere a dimora e far crescere germogli-pensieri di intensissimi colori, sulla natura dell’essere donna, sulla percezione della sua dimensione corporea, sulla fragilità e sulla potenza del suo sentimento nei confronti di J. Spier, sulla ricerca del senso della sua scrittura, sulla ricerca di un Dio che non diventa mai una stereotipata adesione all’ortodossia, ma una ricerca intima, profonda, intensa, personale. Tutto questo come controcanto alla devastazione cui gli ebrei olandesi stavano andando incontro.
Etty non si arrenderà mai all’odio cieco, non troverà mai dentro di sé la motivazione sufficiente a inoculare il germe della violenza come risposta alla violenza, ma cercherà sempre, nella dimensione di un intimo silenzio, la capacità di trovare, anche nel dolore e nell’annichilimento, la forza per continuare a vedere crescere in lei il baluginio di una forza vitale, che la porterà a fare scelte ben precise, anche se contestatissime persino dai suoi conoscenti. Prima di finire definitivamente nel campo di prigionia di Westerbork e da lì poi verso Auschwitz, il consiglio ebraico di Amsterdam, in virtù dei suoi lavori compiuti presso il consiglio stesso, le aveva offerto una via di fuga, che lei rifiutò ostinatamente, scegliendo di seguire fino in fondo la sua famiglia e il suo popolo, accogliendo il dolore di molti e accompagnando ciascuno per mano.
Matteo Corradini prende tutta questa immane ricchezza e complessità e ne fa qualcosa che ci fa amare Etty Hillesum, se possibile, ancora più profondamente, come se attraverso le sue visioni poetiche, noi avessimo la possibilità di vedere con maggiore intensità nell’intimo di questa giovane e straordinaria donna.
A partire dal titolo, Siamo partiti cantando, che da l’avvio a tutto l’impianto narrativo, e che sono nella realtà le ultime parole scritte da Etty Hillesum, lasciate andare da una feritoia del treno che la stava portando con la sua famiglia ad Auschwtiz, dove troverà la morte pochi mesi dopo. La cartolina, destinata a una amica, scivola via nell’aria mossa dal treno, sopra c’è scritto “siamo partiti cantando, non preoccupatevi per noi…”.
Il libro viene così diviso in dieci canzoni, un preludio e una preghiera finale, a proseguire idealmente con Etty il suo ultimo viaggio e a cercare in esso le canzoni memoria che restituiscano il senso della sua esistenza. Non sono propriamente canzoni, ma vogliono esserlo nella misura in cui rappresentano il modo in cui Etty Hillesum ha voluto tradurre il senso del suo ultimo percorso. Le canzoni hanno tuttavia una strofa e un ritornello, fatto a volte anche di silenzio, e contengono momenti importanti della vita di Etty Hillesum, ricordi che, come piccole gemme, spuntano dalle sue pagine. C’è così la canzone dell’albero, in cui strofa e ritornello, diventano stanza della memoria di una Etty bambina cui piace salire sugli alberi per vedere se davvero si può toccare il cielo; e poi ancora c’è la Canzone bella e stupida che è stanza della memoria per una Etty giovane e innamorata e passionale e appassionata della vita, fin dentro le fibre del corpo, ma anche memoria di donne che sono state prima di lei; c’è la canzone del mare che è elemento profondo e misterioso, che ci sommerge dentro, di suoni e maree, e che diventa il modo per raccontare l’amore di Etty per la musica e per il fratello musicista. La melodia di ciascuna canzone risuona nell’altra, come se non ci fosse separazione ma osmosi, sia nelle immagini prodotte dalle parole, sia nei ricordi che fluiscono e a volte ritornano, come fossero armonia di sottofondo.
Un lavoro che davvero rende testimonianza autentica della vita di Etty Hillesum, lavoro amplificato inoltre dalle illustrazioni di Vittoria Facchini, che diventano, nella tessitura dell’opera letteraria, il contrappunto, inteso in senso musicale, delle parole: sono infatti l’eco profondo e nuovo di ciò che le parole non dicono, sono visioni che contemplano la dimensione della complessità, attraverso la scelta della tecnica mista di matite e collage, di segni-pensieri-disegni che traducono alla perfezione, in gesti istintuali e potenti, quella natura così particolare e intima dell’andamento nelle pagine dei diari.
Alcune cose mi hanno colpito delle illustrazioni, queste due più di altre: in ogni spazio-pagina, trovate un personaggio inginocchiato, sempre, in tutte, spesso con una visione laterale, tranne che nell’ultima, dove le due figure sono in piedi e frontali.
Questo stare inginocchiati è, nei diari di Etty Hillesum, una pratica che lei aveva appreso e messo in opera, non in modo convenzionale, ma come una forma che le aveva consentito un rannicchiarsi sempre più dentro di sé, a dare casa, custodia a quel senso del divino che sentiva crescere in proporzione al male che le dilagava intorno. Non è quindi mai segno di sottomissione, di paura.
Nell’ultima illustrazione la figura inginocchiata non c’è più e lascia il posto a una Etty, con la sua camicia bianca, quella aveva portato con sé a Westerbork nella speranza di poterla indossare di nuovo, una camicia che ora la ricopre tutta, la avvolge, in una speranza, che trae segno e forza da quel gesto di saluto eppure così simile a un gesto di lotta, effige di una vittoria che come in uno specchio, dato dall’ovale che la incornicia, sta lì a dirci: io sono voi e la mia vita è in voi.
Accanto a lei un compagno-bambino di quelli che troviamo disseminati in tutte le illustrazioni, con la divisa a righe, ma che ora invece di stare inginocchiato, sta diritto, aggrappato a una stella, che sembra portarlo oltre il limite immaginario del fondo pagina. Sulla stella in tedesco c’è scritto hineinhorchen, in ascolto, ancora e sempre di quelle voci che sono testimonianze vive del nostro divenire umani.
Da ultimo, ma non per importanza, di questo libro, non si può non apprezzare la vesta grafica, che questa giovane casa editrice, rueBallu, ha scelto di dare ai suoi libri, con una carta spessa e porosa, che rende onore alle illustrazioni, soprattutto nella restituzione dei tratti così vividi dei colori delle matite, e con una chiusura del libro, attraverso un cordino elastico, che ci dice che i loro libri, diventano libri intimi di ciascuno, perché quando finiscono possiamo chiuderli e custodirci dentro il nostro leggerci dentro attraverso di loro.
Per questa cura così attenta e preziosa RueBallu lo scorso anno ha vinto il Premio Andersen come Miglior Progetto Editoriale, con grande merito.
Informazioni tecniche
Titolo: Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni
Autore: Matteo Corradini
Illustratrice: Vittoria Facchini
Collana: Jeunesse ottopiù
Editore: rueBallu
Codice: EAN 978-88-6892-58
Formato: cartaceo 21×15 cm
Pagine: 127
Prezzo indicativo: € 20,00
Età di Lettura: (+10)