Leopardi e la lingua italiana: facciamoli vivere bene

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La lingua italiana è da sempre inquieta e senza fissa dimora, derisa, stracciata. Gli italiani non sanno parlare l’italiano, figuriamoci scriverlo! In questo quadro, malinconico e surreale, vi è la necessità di rivitalizzare il metodo non soltanto per arrivare alle nuove generazioni, ma anche alle vecchie, annacquate dall’uso di scorciatoie linguistiche di un malcostume idiomatico in linea con quello etico.

 

Parlare bene è un dovere poiché permette di essere capiti; un inno alla trasparenza, un monumento alla chiarezza o una dichiarazione di amore allo stile. “Se si ama la propria lingua, non c’è peggior delitto di volerla seppellire viva”, sono parole di Giuseppe Antonelli autore del pregevole volume “Comunque anche Leopardi diceva le parolacce”, davvero ricco di spunti e curiosità e scritto con un linguaggio fresco e moderno.

Dunque, una lingua non ibernata in rigidi schemi austeri, ma libera di viaggiare nel tempo, oltre la schiavitù del congiuntivo e dell’impurità dei puristi. Il volume è agile e appassionante e consente di accedere con vivacità all’universo della grammatica che per taluni è vicenda drammatica.

Il lavoro di Antonelli, cerca di sciogliere i principali nodi concettuali, togliendo la polvere anche sull’immagine e i libri di Leopardi. E sotto quella polvere c’è l’uomo con il suo linguaggio immediato, forte e appropriato al momento, vissuto. Bisogna continuare ad ingessare il poeta di Recanati in pagine ingiallite, oppure farlo vivere a colori togliendo la patina con la leggerezza tanto cara a Italo Calvino?

Tra “attimini” e “piuttosto che”, il libro scorre con divertenti esempi che danno il senso di come la società si sia arresa di fronte alla possibilità di far vivere la propria lingua. Antonelli ci consente di esplorare, con garbo e ironia, il corso della storia attraverso le memorabili parole dei grandi della letteratura, indipendenti da un “punto e virgola” tanto caro ai fanatici dell’integralismo della retorica.>

 

Si avverte il bisogno di dare all’italiano una nuova vita, svegliarlo dal coma di farmaci sbagliati con l’auspicio che, per alcuni, “Manzoni” non sia una specie di bistecche giganti, “Leopardi” felini particolarmente intelligenti e “Pascoli” luoghi ideali, anche per una ricca coltura.

Antonio Capitano

 

ndr:
questo articolo è apparso su Il fatto quotidiano nel blog dell’Autore. Lo ringraziamo.

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