Rivoluzionaria per caso e necessità: Nadine Gordimer

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Figlia di un gioielliere lituano emigrato e di una donna inglese, cresciuta tra le miniere d’oro nell’East Rand di Johannesburg, Nadine Gordimer ha cominciato a scrivere giovanissima. A causa di una aritmia benigna, che preoccupa sua madre, la costringe a lasciare la scuola e la prima passione della danza. La segregazione razziale che sotto gli occhi di Nadine ventenne diventa aberrante e l’inaccettabile sistema di leggi la porta presto a declinare nei suoi libri (la prima raccolta di racconti, Faccia a faccia, è pubblicata nel 1949) la storia dell’apartheid, dove «i bianchi vivono in mezzo ai neri come in mezzo agli alberi di una foresta», come fossero altro che umani.

 

Rivoluzionaria «per caso e per necessità» non ha mai pensato di abbandonare il suo Paese, anche negli anni più bui dell’apartheid, lei che vide Nelson Mandela per la prima volta nel 1964 dai banchi dell’aula di tribunale dove il leader dell’Anc fu condannato a morte. Già attiva nel fuorilegge African National Congress, la giovane scrittrice stilò i ritratti degli imputati del Rivonia Trial per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale. In queste ore qualcuno ha ricordato il lavoro sul discorso pronunciato da Mandela e passato alla storia: «Sono pronto a morire». Mai pensato all’esilio, come altri intellettuali nauseati dal sistema. Solo una volta ha valutato di trasferirsi in Zambia, prima di rendersi conto «che in quel Paese ero considerata dai miei amici neri un’europea, una straniera. Allora ho capito che solo qui potevo essere ciò che sono: a white african». Un’«africana bianca» controcorrente, che sceglie di scrivere e battersi per l’uguaglianza nella terra dell’apartheid. Fu Nelson Mandela, sulla strada della riconciliazione, a riconoscere i bianchi come una delle tribù del Sudafrica. Mandela si considerava soprattutto un «patriota africano». Si potrebbe dire la stessa cosa di Nadine Gordimer.

Sudafricana bianca, la Gordimer è stata tra i protagonisti della lotta contro l’apartheid sino a stringere amicizia con Nelson Mandela e ad altre grandi figure della storia recente del Sudafrica. Lo stesso Mandela chiese di vederlo pochi giorni dopo la sua scarcerazione e quando a Mandela assegnarono il Nobel per la Pace il leader politico chiese alla scrittrice di accompagnarlo a Stoccolma: “fu meraviglioso vederlo ricevere quel premio» ricordò la Gordimer. Nella sua autobiografia lo stesso Mandela riconobbe il debito con la scrittrice di cui in carcere poté leggere le opere (almeno quelle non proibite dal regime segregazionista).
E in un comunicato i figli della scrittrice ricordano proprio quella stagione di impegno e grandi battaglia politiche. “Tra le cose d cui andava più fiera non era soltanto il Nobel vinto ma il fatto di aver testimoniato a un processo nel 1986 e con la sua testimonianza aver contribuito a salvare la vita a 22 membri dell’African national Congress accusati di tradimento”.

I riconoscimenti e i libri

Nella motivazione della giuria del Nobel la Gordimer era stata premiato per “esser stata di enorme beneficio all’umanità grazie alla sua scrittura magnifica ed epica”. Tra i suoi libri più importanti tradotti in italiano si ricordano!”Racconti di una vita”, “Luglio”, “Qualcosa là fuori” e “Un ospite d’onore”. (leggi le schede di seguito) Tra i premi ricevuti ricordiamo anche il Booker Prize, vinto nel ’74 e il Premio Grinzane Cavour per la Lettura del 2007.
L’opera di Nadine Gordimer (1923-2014), è pubblicata da Feltrinelli: Un mondo di stranieri (1961), Occasione d’amore (1984), Un ospite d’onore (1985), Qualcosa là fuori (1986), Una forza della natura (1987), Il mondo tardo-borghese (1989), Vivere nell’interregno (1990), Luglio (1991), Storia di mio figlio (1991), La figlia di Burger (1992), Il salto (1992), Nessuno al mio fianco (1994), Scrivere ed essere. Lezioni di poetica (1996), Un’arma in casa (1998), Vivere nella speranza e nella storia. Note dal nostro secolo (1999), L’aggancio (2002), Sveglia! (2006), Beethoven era per un sedicesimo nero (2008), Il conservatore (2009), Ora o mai più (2012), Racconti di una vita (2014) oltre ad alcuni racconti nella collana digitale Zoom; ha inoltre curato la raccolta Storie (2005). Le è stato conferito il Premio internazionale Primo Levi nel 2002. Nel 2007 ha vinto il premio Grinzane per la letteratura. È stata inoltre insignita della Legione d’onore.

Alcune schede (fonte: Feltrinelli editore)

Racconti di una vita
Diciassette storie scritte tra il 1952 e il 2007, cinque decadi di racconti inediti in Italia, dove Nadine Gordimer dimostra ancora una volta l’uso sontuoso che fa della lingua e la sua magistrale capacità di guardare alla politica, alla sessualità e alla razza senza accondiscendenza e con immensa compassione. Che scriva di amanti, genitori e bambini o coppie sposate, Gordimer disegna la geografia delle relazioni umane con un acume psicologico affilatissimo e una sorprendente mancanza di sentimentalismo. Il suo essere radicata – a un momento politico, un luogo e una fede – non ha mai nuociuto al suo talento di artista: al contrario la sua scrittura si mette al servizio dell’umanità e diventa un memento potentissimo dell’agonia vissuta in Sudafrica e un estremo tentativo d’intervento umano fra due fazioni di una società che sembra disperatamente divisa.

 

Che cosa stavi sognando?
Una lunga strada polverosa col sole che picchia bruciante ogni giorno, oggi come ieri, come sempre. E un ragazzo meticcio che fa l’autostop per questa strada d’Africa in modo diverso da ogni altro africano: col pollice alzato e non attendendo a bordo strada qualcosa che parrebbe non giungere mai. Una coppia si ferma a caricarlo. Lui, inglese e sprovveduto e lei, bianca d’Africa che troppo a visto e molto vorrebbe dimenticare. Un viaggio di scoperta e un lungo sonno ristoratore. Ma quali sogni sarà in grado di portare?

 

Finali alternativi
‟Uno scrittore prende la vita che immagina a un certo punto del suo percorso e la lascia a un altro. Nemmeno una storia che va dalla nascita alla morte è definitiva: quale accoppiamento, tra chi, ha causato l’ingresso in scena, quali conseguenze seguono l’uscita di scena… Queste cose sono una parte della storia che si è scelto di non raccontare. Per quanto la situazione possa essere sedimentata, determinante, persino ovvia, non potrebbe risolversi diversamente? In questo modo, non in quello. C’è scelta nell’imprevedibilità degli esseri umani: le forme della narrazione sono arbitrarie. Esistono finali alternativi. Li ho sperimentati, qui, per me.”

 

Nessuno al mio fianco
In Sudafrica, poco prima delle elezioni che hanno portato Nelson Mandela al potere, due coppie fanno i conti con la realtà sociale e politica del paese. Da un lato ci sono gli Stark: Vera e Bennet, i bianchi. Lui rinuncia alle proprie attività artistiche per la famiglia, lei invece intraprende la professione di avvocato che, costringendola ad affrontare problematiche a lei sconosciute, le cambierà la vita. Dall’altro lato scorre l’esistenza parallela dei Maqoma: Sibongile e Didymus, militanti neri tornati in patria dopo anni di esilio a seguito dei grandi rivolgimenti politici. Lui, ex terrorista, viene messo da parte dal movimento rivoluzionario, mentre lei, che non si era mai impegnata nella lotta politica, vi acquisisce un ruolo sempre più attivo. Nessuno passa indenne attraverso gli sconvolgimenti che stanno travolgendo il Sudafrica e tutti si trovano a dover fare i conti con la storia. Nadine Gordimer, con maestria nel trattamento della struttura narrativa e nella delineazione dei personaggi, ci commuove e insieme ci aiuta a comprendere la realtà del Sudafrica, in uno dei momenti chiave della sua storia contemporanea.

Sveglia!
Paul Bannerman, trentacinquenne direttore di un’associazione ambientalista sudafricana, crede di avere l’assoluto controllo sulla propria vita. La sua esistenza cambia radicalmente quando gli viene diagnosticato un cancro alla tiroide. Gli prescrivono un trattamento che lo fa diventare radioattivo e quindi potenzialmente pericoloso per gli altri. Decide allora di lasciare temporaneamente la moglie Bennie e il figlio Nickie per trasferirsi a casa dei genitori dove per un periodo vive in una specie di quarantena. In questo soggiorno forzato nella casa dell’infanzia, accudito dal padre Adrian e dalla madre Lindsay, Paul ha finalmente il tempo per pensare alla sua vita e si rende conto di molte cose, come la contraddizione fondamentale tra i valori che guidano il suo lavoro e quelli invece della moglie, che dirige un’agenzia pubblicitaria. Anche la madre progressivamente viene contagiata da questo stato esistenziale del figlio e inizia a fare i conti con il suo passato. Nel frattempo, i progetti di costruzione di un reattore nucleare e di una serie di dighe su un delta preoccupano Paul come se fosse ancora in ufficio. Quando finalmente torna a casa e riprende a lavorare, si accorge di come questa piccola parentesi abbia modificato le esistenze di chi lo circonda: la moglie gli svelerà di volere un secondo figlio, i genitori se ne andranno in Messico per realizzare finalmente il sogno del padre di dedicarsi all’archeologia. Le conseguenze imprevedibili di tanti cambiamenti rappresentano la sorpresa finale di queste appassionate esistenze individuali. L’autrice delinea la vasta realtà del suo paese, sia quella politica, economica o sociale, sia quella delle nuove relazioni tra bianchi e neri, dei nuovi problemi e delle nuove soluzioni. Lo stile, tipicamente gordimeriano, porta il lettore a trascorrere da un argomento all’altro, dall’analisi dei rapporti sentimentali (tradimenti, amore coniugale, amore per i figli…) a questioni economiche ed ecologiche proprie del Sudafrica ma valide per il mondo intero; dalla storia di un fiume che è morte e vita per chi vive lungo le sue rive, all’emancipazione dei neri e della donna; dall’apartheid a un nuovo rapporto tra i sudafricani.

Qualcosa là fuori
I racconti contenuti in questa raccolta si distaccano dal tema abituale di Nadine Gordimer – lo scontro socio-culturale e razziale che contrappone le diverse componenti della società sudafricana -, o lo lasciano sullo sfondo, per addentrarsi, con pagine mirabili per concisione espositiva e cruda osservazione della vita, in una dimensione privata dove prevalgono il gioco dei sentimenti e il precario equilibrio dei rapporti. In questo contesto si situano Peccati della terza età, Stracci e ossa e Terminale, tre racconti che scavano con straordinaria abilità nell’andamento capriccioso dell’amore e nei dilemmi che hanno molte coppie al verificarsi di un avvenimento dirompente. Un exploit di notevole audacia è costituito da Una lettera da suo padre, immaginaria risposta di Hermann Kafka alla celebre lettera del figlio, in cui le ragioni pateticamente concrete di un genitore che si erge a difesa di se stesso e dei valori dell’ebraismo tradito da Frank – un tradimento dal quale quest’ultimo avrebbe tratto, a suo dire, più fama che genio – assumono accenti di sommesso strazio. L’ambiente sudafricano emerge in altri racconti, ma con modi e toni diversi da quelli dei grandi romanzi. Abbandonato il ruolo più prettamente critico e civile, l’autrice cede alla componente fantastica e drammatica, puntando la sua attenzione su vicende in chiave minore dietro le quali si intravede pur sempre la grande ingiustizia che affligge il suo paese. &Egravi;il caso di Qualcosa là fuori, il racconto che dà il titolo alla raccolta, in cui l’elemento dominante è la paura, quella suscitata da un misterioso devastatore (uomo, animale, psicopatico) che si aggira in un sobborgo di Johannesburg, e quella, più segreta, del quartetto che progetta di far saltare una centrale elettrica. In questo splendido libro le immagini di una realtà oggettivamente crudele si stemperano in una rappresentazione sottile e sfumata, ma ugualmente improntata a quell’incisività che è una delle caratteristiche […]

Storia di mio figlio
“Uno studente, marinando la scuola, s’imbatte nel proprio padre, verso il quale nutre un grande rispetto, mentre sta uscendo da un cinema con una donna. Un contrattempo comune: ma suo padre non è un uomo comune e la famiglia minacciata dalla relazione non è una famiglia comune. Questa è una storia appasionata: l’amore tra un uomo e due donne, tra padre e figlio, tra una famiglia e qualcosa di ancora più esigente: l’amore per la libertà. E’ un dramma profondamente intimo di conflitti personali e di lotte personali negli eventi rivoluzionari che, a caro prezzo per persone come queste, hanno determinato cambiamenti in Sudafrica”.

 

Luglio
Sudafrica. In un ipotetico futuro scoppiano disordini di tale entità da costringere i bianchi alla fuga. Bam e Maureen Smales con i loro tre figli, alla disperata ricerca di una via di fuga, accettano il suggerimento del loro servitore nero, Luglio, e si rifugiano nel suo villaggio.
Separati all’improvviso da tutto ciò a cui erano abitutati, capovolti integralmente i rapporti di forza, per cui sono gli Smale a dipendere integralmente da Luglio, si vedono costretti a prendere di nuovo le misure del mondo, a rapportarsi in modo completamente inaspettato con se stessi e con gli altri.
Definito da “Newsweek” come “un magistrale ‘messaggio’ narrativo dalla zona di combattimento”, “Luglio” è un romanzo straordinario per la capacità evocativa e per la sorprendente precisione con cui descrive il progrssivo ma totale spogliarsi delle persone di ogni aspetto convenzionale.

Un ospite d’onore
Un’opera grande e complessa, uno splendido affresco di un’Africa giovane e antica in cui, alla storia, si intrecciano le storie private di tanti personaggi: africani bianchi, che vivono in una situazione di precario privilegio, neri emergenti, avviati a un conformismo totalizzante, e una massa dilaniata tra il legame con l’eredità tribale e le esigenze di un progresso imposto dall’esterno. Sopra le altre, la storia d’amore di Bray – un ex funzionario coloniale, espulso dal paese per le sue simpatie nei confronti dei rivoluzionari neri e ora invitato dal nuovo governo ad assistere alle celebrazioni per l’indipendenza – e Rebecca, una storia sul filo di una sessualità che si fa volta a volta aspra e delicata, intensa e contenuta. In questo straordinario romanzo, che conferma l’appartenenza di Nadine Gordimer alla grande tradizione classica, ritroviamo la lucida consapevolezza, la tensione morale e lo stile terso che hanno fatto di lei una delle più grandi scrittrici del nostro tempo.

Il salto
Questi racconti, scritti nella seconda metà degli anni ottanta, sono di ambientazione prevalentemente africana: le storie non si svolgono solo in Sudafrica bensì offrono una panoramica di tutta l’Africa, da quella del Nord a quella centrale, all’Africa australe e insulare. Attraverso di essi Nadine Gordimer affronta tutti i temi a lei particolarmente cari: la politica, l’amore, il futuro, non solo di un paese travagliato come il Sudafrica, ma di un intero continente. Ecco allora scorrere attraverso le pagine una fuga dal Mozambico passando per il Kruger Park, in condizioni così dure da rendere i fuggitivi simili agli animali che i turisti vanno ad ammirare proprio lì; un rapporto d’amore tra una meticcia e uno svedese, messo in pericolo dall’impegno politico di lei; la paura dei bianchi di essere assaliti nelle loro case e il tentativo di trasformare quindi le abitazioni in bunker, con il rischio di rimanervi imprigionati dentro; l’eterno interrogarsi da parte di alcuni bianchi sulla possibilità reale di considerare il Sudafrica come il proprio paese; il finale disgusto di un controrivoluzionario verso ciò che ha fatto. Attraverso tutti i racconti si coglie un’estrema attenzione al linguaggio, all’uso corretto dei termini: è come se il linguaggio impreciso svuotasse l’esperienza del suo significato e creasse complicità con quella perversione del reale propria del vocabolario di sistemi disumanizzati quali l’apartheid.

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