La notizia ha gettato nello sconforto molti appassionati di jazz come la sottoscritta. Ornette Coleman, il sassofono contralto più potente, il compositore più controverso ma altrettanto innovatore nella storia del Jazz, è morto ieri a Manhattan per un arresto cardiaco. Aveva ottantacinque anni. Intorno a Coleman ci ho girato molte volte dedicandogli il giusto tributo qualche tempo fa. Peccato davvero.
Ornette Coleman ha ampliato le scelte che il Jazz aveva da dare e contribuito a cambiarne il suo corso. Dagli anni 50 in poi il Jazz è diventato meno servo dei dogmi armonici che fino a quel momento ne aveva regolato la vita. Del resto, basta prendere alcune registrazioni per ascoltarne le provocazioni, ancora oggi standard per molte band, esempio sono le improvvisazioni, i passaggi al post-bebop, ai non rari riferimenti alla musica sinfonica fino a certe versioni originali del funky. La sua, ha incarnato da allora e in seguito un nuovo tipo di musica popolare capace di offrire una musica facilmente orecchiabile e una idea di scrivere musica senza preconcetti. Quello che sembrava essere del Jazz di allora solo per le grandi band ci si accorse di poter essere esercitata anche da piccoli gruppi.La sua competenza tecnica è andata anche oltre le rotture dei vincoli imposti dagli standard degli anni ’50. Non è un caso se con Charlie Parker, hanno cambiato le dimensioni connotative proprie di questa musica: sono stati molto più volubili e teorici di John Coltrane, l’altro “padre” di quell’epoca. Ornette Coleman è stato un filosofo, i cui interessi hanno raggiunto molti traguardi; un nativo-avanguardista (un termine forse complicato per definirlo e mi scuso) e come tale un disubbidiente, come ama dire il mio due di coppia per definire se stesso, un indipendente molto più di qualsiasi altro artista.
Era del 1930 ed era figlio di povera gente. Il padre era morto con lui ancora bambino e la madre andò a lavorare in un’impresa di pompe funebri (l’info l’ho presa da NYT). Quella del sassofono è una storia che dura da quando aveva quattordici anni. Alla Terrel School, vero incubatoio di talenti del jazz moderno, ha suonato con diversi futuri compagni di lavoro; tali furono John Carter (clarinetto), King Curtis (sassofonista anche lui) e Julius Hemphill. Chi lo influenzò maggiormente fu Red Connor, vero ispiratore di anime e sax tenero tra i più bravi della storia. Il Be-pop l’ha appreso da lui e il fraseggio di Parker ha fatto il resto. Ah!, quasi dimenticavo: una volta Coltrane, riferendosi a un concerto del 1961, ha detto che i 12 (solo 12!) minuti che hanno passato assieme sul palco sono stati “i più intensi della mia vita” (rif.: Jazz.com). A scorrere lo scaffale di casa non ho potuto che guardare con velata nostalgia, una Saudade vera e propria, l’album registrato con il mio amato Pat Metheny “Song X”. Un grande disco.
Finisco senza citare gli innumerevoli riconoscimenti che questo grande della musica ha ricevuto in vita. Ricordo solo il Pulitzer nel 2007 e il Grammy alla carriera lo stesso anno .
Della collezione di casa e dei consigli per gli acquisti, ne ho già parlato nell’articolo dedicato al grande musicista .
Vi giro una breve selezione su Spotify.
Sono una dozzina di brani dal 1950 al 2007, ci trovate brani come Turnaround, uno degli ultimi “blues” di Coleman dal vivo; Lonely Woman, Una delle ballate più celebri di Mister C., da Shape of Jazz to come. Questo è stato il primo album di Ornette Coleman per la celebre etichetta Atlantic. E’ uno dei dischi che amo di più, non a caso i membri del quartetto sono stati, leggete un po’: Ricky Cherry “alla” tromba, Charlie Haden al basso e Billy Higgins alla batteria. E’ un disco leggendario, definiti da più parti l’avant-garde del jazz registrato nel 1959, anno di nascita del mio due di coppia. La rivista Rollins Stone lo ha inserito nei migliori 500 dischi di sempre. Naturalmente, ci sono anche atri brani, ma vi segnalo “Free Jazz”. Lo dice la parola stessa “Free”; se la capite allora è fatta. E’ un criterio, una condizione per qualificare le improvvisazioni che vi ci trovate.