di Michela Murgia
Lo confesso proprio qui, come un punto di partenza: sono stata una lavoratrice precaria troppo a lungo per aver maturato con il sindacato un rapporto di reale fiducia. Gli organi tradizionali di rappresentanza non avevano cittadinanza nelle terre del lavoro invisibile dove camminavamo io e i miei colleghi: erano inesistenti laddove si perpetravano le vessazioni e ci apparivano troppo rigidi nelle strutture e nei metodi per potersi adattare al nostro pericolante equilibrio contrattuale. Noi, che stentavamo persino a confessarci l’un l’altro quanto quel modo di lavorare ci precarizzasse le scelte e i sogni, non avremmo mai concepito per noi stessi una rappresentanza sindacale: sarebbe equivalso a dire che qualcosa non andava, e la negazione del dissenso era parte non scritta del nostro contratto.


La traduttrice Helga Rainer, racconta il successo de “
“… Cominciava a scendere la sera. Nelle strade brulicanti di gente risplendevano le luci natalizie e tra i lampioni danzavano grossi fiocchi di neve. In mezzo a tutte quelle persone indaffarate, camminavano Joakim e il papà. Erano venuti in città per comprare un calendario dell’Avvento, cioè un calendario di Natale: appena in tempo visto che l’indomani sarebbe stato il primo dicembre … Davanti ad una pila di volumi era appoggiato un calendario di Natale dai colori sgargianti. « Eccolo!» esclamò … ” (pag.1). Sono ventiquattro le finestrelle del calendario che Joakim ha acquistato da un simpatico libraio, prima della grande festa, come vuole la tradizione nordica: una per ogni giorno, dal primo dicembre alla vigilia di Natale. Subito, Joakim, intuisce che quel calendario, dai colori sgargianti ha qualcosa di particolare, unico, misterioso: ”… 1 DICEMBRE: Forse le lancette dell’orologio si erano a tal punto annoiate di percorrere anno dopo anno, lo stesso cammino che improvvisamente avevano cominciato a muoversi nella direzione opposta…” Quel calendario è magico! [segue]
La spietata ingiustizia sociale della pena capitale, la difficoltà della revisione dei processi e le falle del sistema giudiziario americano sono il nocciolo del nuovo romanzo di John Grisham, Io confesso edito da Mondadori. È una storia dura, quasi priva di speranza e che rimesta nel torbido. Grisham arriva a sostenere che il sistema della giustizia nel suo Paese non funziona, e che «il sistema della giustizia minorile non fa altro che allevare criminali in carriera. La società vuole rinchiudere quei ragazzi e buttare la chiave, ma è troppo stupida per rendersi conto che prima o poi usciranno. E, quando escono, le cose non vanno molto bene…».
Avevo promesso a Marco Crestani una risposta. Eccola. 

All’inizio la storia di Nina Nihil, baby sitter oversize con una vita caotica e sconclusionata, appare semplice. Ma è solo una prima e fugace impressione.