“Ruggine americana” di Philipp Meyer è un laconico, spesso agghiacciante ritratto della vita americana. Un romanzo sul sogno americano perduto e sulla disperazione per la sua perdita, una storia piena di speranza dolente in cui si avverte forte un profondo rispetto per la lotta e il coraggio così necessari per andare avanti.
E’ la storia di due giovani, legati a una città dalla responsabilità e dall’inerzia che sognano un futuro oltre le fabbriche e le case abbandonate di Buell in Pennsylvania dove un tempo c’erano solo acciaierie e adesso c’è una crisi che li schiaccia.
“Presero a nord lungo il fiume, verso Pittsburgh; a sud era foresta demaniale e miniere di carbone. Dal carbone veniva l’acciaio. Passarono davanti a un’altra vecchia fabbrica, alle sue ciminiere, non si trattava solo di acciaio, c’erano decine di industrie minori che dipendevano dalle acciaierie: utensili e stampi, rivestimenti speciali, attrezzature minerarie, l’elenco non finiva più. Formavano un sistema intricato e, quando le acciaierie avevano chiuso, era andata in crisi tutta la valle. L’acciaio era il cuore. Chissà fra quanto la ruggine avrebbe divorato tutto e la valle sarebbe tornata allo stato primitivo. Solo la pietra sarebbe durata.”
Evocando i romanzi di John Steinbeck e le sue vite inquiete durante la Grande Depressione, “Ruggine americana” ci porta nel cuore americano contemporaneo in un momento di profonda inquietudine e incertezza per il futuro.
Un romanzo commovente su una realtà desolante che annuncia l’arrivo di uno scrittore di talento (selezionato dal New Yorker fra i 20 migliori scrittori sotto i 40 anni), uno scrittore che ha saputo entrare nella “tempesta perfetta” della tragedia.
E’ un romanzo che posso solo consigliare. Raramente ho letto un romanzo così vibrante di vita in cui tutti i personaggi sono così davvero reali.
Philipp Meyer, Ruggine americana, traduzione di C. Mennella, 2010, 431 p., brossura, Einaudi (collana I coralli).