La psichiatria sulla pelle dei bambini

   Tempo di lettura: 6 minuti

«Avevo tre anni quando un’assistente sociale mi portò a Villa Azzurra che di quel colore non aveva proprio nulla. Ci finii perché quella buona donna di mia mamma mi aveva avuto da un uomo che della paternità se ne infischiò allegramente, non l’ho mai incontrato. Lei era giovane e sola».

Comincia così – con una storia terribilmente simile a molte altre – questo libro scritto per non dimenticare; per ricordare a chi è vissuto al tempo dei manicomi e per informare chi non c’era. Ma scritto anche per smontare l’illusione che oggi la fabbrica della follia sia altro da quanto era in passato: fenomeno di massa, fenomeno di poveri, manicomi (o realtà troppo simili) come discariche umane e sociali.

 

La lettura del libro di Alberto Gaino non è consigliata ai deboli di stomaco. Qualunque cosa si possa – a torto o a ragione – immaginare sui manicomi, svanisce di fronte alla potenza delle testimonianze di chi ha avuto la sfortuna di finire in quelle istituzioni. Per la maggior parte si trattava di bambini appartenenti a famiglie di bassa estrazione sociale e scolarità, economicamente povere, che spesso si rivolgevano a servizi assistenziali, consultori e ambulatori per ricevere aiuto a fronte di situazioni di disagio; per tutta risposta, ricevevano diagnosi impietose (e quasi sempre falsificate) che facevano in modo di rinchiudere in manicomio un bambino che, in realtà, non aveva alcun tipo di problematica psichica o mentale.

In manicomio questi poveri pazienti sfortunati incontravano l’inferno: direttore psichiatra definito “elettricista” perché sottoponeva all’elettroshock i bambini senza anestesia, infermieri che abusavano sessualmente delle bambine più grandi; contenzione fisica dei pazienti nel proprio letto,  legati alle sponde per mani e piedi anche per tutta la durata del ricovero, totalmente nudi e con un buco nel pagliericcio come scarico per i bisogni fisiologici, per non parlare di morti avvenute senza motivazioni trascritte sulle cartelle cliniche; cartelle cliniche falsificate e poi misteriosamente scomparse; e molto altro.

I bambini che desideravano esprimersi – giocando, cantando o non dormendo negli orari stabiliti – venivano sottoposti a trattamenti disumani in quanto considerati troppo vivaci e quindi non normali; la medesima sorte spettava a coloro che erano più timidi e riservati e, quindi, classificati come apatici o con problemi di attenzione.

Ci sono testimonianze di bambini che, entrati da piccoli, non uscivano più; altre voci parlano di morti liquidate senza troppe descrizioni di cause sulle cartelle cliniche.

Perché così tanti bambini finivano in manicomio, oltretutto senza alcun motivo sanitario specifico? Naturalmente l’interesse economico ha tenuto le fila di questo disastro per molti anni  fino a quando il coperchio di omertà e complicità  di questi lager finì in seguito alla pubblicazione su un giornale di alcune fotografie che avevano ripreso le molte terribili situazioni. L’opinione pubblica ignara fino a quel momento si sollevò dalla indignazione. La Legge Basaglia fece poi il resto. Ma la chiusura dei manicomi non risolse questa teribile infamia sulla pelle dei bambini; fini con il trasferire il problema della gestione della malattia dall’internamento alle strutture dedicate ai reparti di cura (gli SPDC) di ogni ospedale italiano impreparati organizzativamente all’accoglienza.

La realtà è tuttavia cambiata in parte: al di là di strutture ospedaliere ben organizzate, la situazione non appare mutata in moltissimi casi. I reparti SPDC (i servizi psichiatrici diagnosi-cura) sono di solito isolati dagli altri reparti di degenza, i pazienti sono rinchiusi con pochissime possibilità di muoversi liberamente, non fosse altro per prendere aria e con una poca possibilità di vedere le persone più prossime; ancora oggi è spesso praticata la contenzione fisica mediante le cinture o le fasce nei letti; per non parlare delle cure spesso non condivise con i pazienti o i parenti strafregandosene del principio di consapevolezza.

E i bambini? Il rischio che nuovi interessi muovano e regolino le cure sulla base del nome dei farmaci più che lo stato di salute dei piccoli pazienti è altissimo. Quale che sia la loro condizione della malattia.

Questo libro è una testimonianza civile e per questo un libro necessario. E’ una disamina severa che fa luce sulle molte opacità della psichiatria clinica, su quanto accaduto alla psichiatria pubblica tra gli anni 60 e 70 prima della legge 180 Basaglia, aprendo le braccia a una nuova formula della cura domiciliare più consapevole e sostenuta da rinnovati mezzi di welfare non solo sanitari. L’amore e la vicinanza famigliare hanno potuto e possono dove i reparti ospedalieri non arrivano.

 

per BookAvenue, Paola Mattiazzo

 

l’Autore:

Alberto Gaino, giornalista a il Manifesto nei primi anni Settanta, dal 1981 è stato cronista prima a Stampa Sera, poi a La Stampa. Negli ultimi 24 anni del suo lavoro si è occupato essenzialmente di cronaca giudiziaria. Ha seguito le principali inchieste della magistratura svoltesi a Torino.

 

Il libro:

IL MANICOMIO DEI BAMBINI – Storie di istituzionalizzazione  di Alberto Gaino
edizioni La Staffetta, Gruppoo Abele, 2017
disponibile anche in ebook

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