Una cara amica (ciao Bea!!) tempo fa mi ha parlato dei TED talks. Se state facendo la stessa espressione interrogativa che feci io quella volta, ecco svelato l’arcano: TED, acronimo di Technology Entertainment Design, è una serie di conferenze gestite da una organizzazione privata no-profit statunitense. Quindi i TED talks cosa sono? Sono discorsi trasmessi attraverso un format online che prevede degli interventi di circa 20 minuti e sono per questo molto facili da seguire, sia per la durata che per gli argomenti trattati, ragioni sufficienti per non annoiare lo spettatore.
Ecco: questo libro, Il cuore di un’ape, scritto da Helen Junkes, mi è sembrato proprio un TEDtalks.
Il libro inizia presentandoci Helen di ritorno da una giornata di lavoro stanca, stressata, e inquieta. Esce in giardino, lo trova ghiacciato e spoglio e, vicino alla siepe che delimita il suo giardino da quello dei vicini, ecco che le balena in testa un pensiero: “qui ci starebbero bene le api”. Eccitata, valuta la fattibilità di questa idea, osserva il giardino, pensa ai rudimenti di apicultura che ha imparato dall’amico Luke che si occupa di alveari in giro per Londra. Descrivendo l’idea che prende man mano forma e concretezza grazie al dono ricevuto di un’arnia Helen Jukes ci porta dentro un mondo, quello delle api, che di primo acchito sembra che mal si concili con la vita di città.
Procedendo nella lettura, ci rendiamo conto che l’allevamento urbano delle api è una realtà ben consolidata non solo in Inghilterra, ma anche nel resto del mondo. Helen alterna la narrazione della storia con piccole preziose tecniche a come si sia sviluppato l’allevamento delle api nella storia dell’umanità. Pian piano ci si ritrova a fare il tifo per queste piccole creature e la loro nuova casetta nel giardino di Helen. Nel libro ci racconta il suo anno in compagnia della sua nuova famiglia di api: viviamo con lei i suoi dubbi iniziali, i problemi che man mano deve affrontare e che s’intrecciano alle sue giornate lavorative e alle sue ricerche sul mondo dell’apicoltura.
Nel mio imaginario associo le api alla primavera ma non solo: per me sono una vera meraviglia della Natura. Siamo affascinati da questi piccoli insetti; dal loro saper costruire i favi, alla maestria nel realizzare le loro tipiche cellette esagonali, per non parlare della sorprendente organizzazione della vita all’interno dell’arnia e, non ultimo, il miele e gli altri prodotti che sanno produrre con il loro incessante lavoro. Ma la vera immensa magia queste piccole creature la creano quando si spostano di fiore in fiore, impollinandoli. Eh, si: tutti sappiamo, per averlo letto o sentito dire, che senza le api la maggior parte delle piante non sopravvivrebbe, conseguenza per la quale, qualche problema lo avremmo pure noi.
Sappiamo andare sulla Luna, abbiamo fatto passi da gigante nella cura delle malattie, abbiamo cellulari magnifici e computers che processano migliaia di dati al secondo, ma non siamo ancora capaci di replicare la fotosintesi clorofilliana: processo attraverso il quale le piante con la loro clorofilla riescono a produrre ossigeno.
Se il metro con cui misuriamo i nostri successi, è la salute della Natura, allora siamo fragili e vulnerabili di fronte alla meraviglia delle leggi che regolano il nostro mondo. Le pagine di Il cuore di un’ape, mi hanno ricordato il primo TEDtalk che ho ascoltato, quello di Brenè Brown (*), a proposito della forza della vulnerabilità. Del coraggio di sentirsi imperfetti, di accettare quel magnifico e sfaccettato sentimento che è la nostra vulnerabilità e di come invece abbiamo abdicato al falso ideale che la società ci ha spinto a incarnare.
Helen con coraggio inizia il percorso per diventare un’allevatrice urbana di api. Si rende ben presto conto di essere imperfetta nonostante abbia studiato molti libri di apicoltura; inizia a confrontarsi con il personale sentimento di fragilità che le provoca l’essersi assunta la responsabilità della vita di quelle api. Vive un sentimento di duplicità: da un lato sente che sta vivendo una vita vuota, senza radici, che questa sensazione la turba ma, allo stesso tempo, la consapevolezza di una nuova forza. Dice: “Laggiù, vicino all’arnia, lontano dall’involucro coriaceo della città, ho trovato un luogo dove togliermi l’armatura; espormi di più, diventare capace di toccare e lasciarmi toccare”.
Eccolo qua, il potere della vulnerabilità: togliersi l’armatura ci permette di diventare delle persone più consapevoli perché, anche se non lo ammetteremo mai, siamo TUTTI vulnerabili in un mondo vulnerabile. Allora invece di fuggire da quello che ci rende indifesi e deboli nascondendoci nel nostro travestimento da super eroi, perché non attingiamo a piene mani da questo sentimento per creare qualcosa di bello e provare a diventare delle persone altrettanto belle?
Per Helen sono le api, per me sono le parole. Quando torno a casa da una giornata dura anch’io, come l’autrice di questo magnifico libro, provo a togliermi l’armatura. Non ho un’arnia da curare; prendo una penna o una macchina fotografica e tento di raccontarvi il mio pezzo di mondo provando a farvi emozionare mostrandovi quello che vedo.
La mia vulnerabilità mi ha insegnato che prendermi del tempo per ascoltare il respiro della voce che ho dentro, è tanto bello quanto ascoltare il respiro di un bambino che dorme; restituisce alla quiete della notte che ho dentro tutta la dolcezza che il buio di certi giorni le ha tolto.
E se, dunque, la vulnerabilità è una risorsa, per voi cosa vale la pena farne?
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Per BookAvenue, Marina Andruccioli
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Il libro:
Il cuore di un’ape
Il mio anno di apicultrice in città,
Helen Jukes,
pp. 200 Einaudi, 2020
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(*)Da Youtube, Brene’ Brown, La forza della vulnerabilità
(con sottotitoli in italiano)