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Che cos’è la cittadinanza oggi? E in che modo la sinistra ha smarrito la propria bussola, accettando il dilemma tra giustizia sociale e immigrazione come un dato di realtà, e non come frutto di rapporti di potere?
Lea Ypi decostruisce qui, in modo radicale, i luoghi comuni del dibattito pubblico su migrazione, integrazione, sovranismo e cittadinanza, e dimostra che le politiche migratorie contemporanee rafforzano la divisione tra classi sociali, e che loStato capitalista – lungi dall’essere garante imparziale di giustizia- è spesso uno strumento di esclusione e dominio.
Il cuore della sua argomentazione è semplice quanto dirompente: la vera fratturano passa tra nativi e stranieri, ma tra chi ha diritti e risorse, e chi ne è sistematicamente privato. Anche nelle società all’apparenza più democratiche, la cittadinanza si compra, si eredita, si concede: non è mai davvero accessibile a tutti. E mentre la sinistra insegue narrazioni identitarie e discorsi sulla cultura nazionale, perde di vista ciò che ha storicamente costituito il suo compito: organizzare la solidarietà di Classe.
Confini di classe raccoglie tre dei più importanti saggi politici di Lea Ypi e propone una nuova chiave di lettura per comprendere le crisi della democrazia contemporanea. Un invito urgente a ripensare confini, non in termini di geografia, ma di giustizia”.(ndr. dall’introduzione)
Lea Ypi (leggi in coda la biografia), per le Idee Feltrinelli, ha appena pubblicato Confini di Classe. Disuguaglianze, migrazione, e cittadinanza nello stato capitalista. Un piccolo preziosissimo libro per i tempi correnti.
Ne riassumiamo alcuni punti salienti.
- La cittadinanza come merce
Il limite principale delle più recenti analisi della cittadinanza e della migrazione, comprese quelle liberali e di sinistra, è che trattano l’accesso alla cittadinanza perlopiù come una questione di diritti individuali. La cittadinanza viene concepita come un titolo che o si eredita in virtù dell’essere nati in un determinato Paese o ci si deve guadagnare (per via di mezzi finanziari o dimostrando determinate competenze civiche; avremo modo di tornare sulle modalità nelle seguenti pagine). Tale concezione teorica viene accettata senza rendersi conto che l’analisi della cittadinanza intesa come diritto individuale mina la possibilità di un approccio alternativo, dinamico e orientato al processo. Trasformare la cittadinanza in un bene statico e ridurla a un titolo individuale rende priva di forza critica l’azione politica orientata alla costruzione di un percorso comune di alternativa democratica.
- La cittadinanza nello Stato capitalista è ed escludente
Le implicazioni escludenti della cittadinanza sono più evidenti se guardiamo alle modalit;, con cui la cittadinanza viene este«a a potenzia. li nuovi membri. Una di queste è la capacita dj comprare la cittadinanza (cosi come il permesso di soggiorno accelerato) da parte di quanti dimostrino di possedere mezzi e abilità per offrire un contributo produttivo alla comunita ospitante. In genere si tratta di investitori finanziari, di persone interessate ad acquistare beni immobili e di quanti sono disposti a pagare cifre molto alte per il rilascio di un passaporto o di un permesso di soggiorno che dà diritto a benefici molto diversi rispetto a chi non possiede gli stessi mezzi finanziari. Un’altra modalità è quella dei test di competenza linguistica e di integrazione culturale attestanti i requisiti di base che stanno diventando sempre più comuni in tutto il mondo. Accessibili unicamente ai residenti di lungo periodo, questi test dovrebbero verificare che i potenziali nuovi membri risiedenti in un certo territorio meritano di diventare cittadini, a patto di dimostrare la propria familiarità con le norme linguistiche e sociali dominanti nella comunità ospitante.
3.Le politiche di cittadinanza oggi rafforzano il carattere di classe dello Stato
Dire che lo Stato ha un carattere di classe equivale a dire che la capacità dello Stato di agire da piattaforma politica che bilancia e modera i conflitti tra i gruppi sociali in modo equo, per esempio attraverso mezzi democratici, si è progressivamente erosa. Lo Stato diventa piuttosto un agente al servizio degli interessi di élite potenti (sia politiche sia finanziarie), che possono sfruttare le politiche legate alla residenza o alla cittadinanza per premiare i membri di gruppi con più denaro e potere e per ostacolare e danneggiare altri gruppi vulnerabili.
4.Non viviamo più in democrazie ma in oligarchie
La cittadinanza, quando viene comprata e venduta anziché concepita come veicolo di emancipazione politica, diventa uno strumento di dominio e oppressione. La democrazia, quale ideale che professa che tutti abbiano una parte nel governare e nell’essere governati, si trasforma via via in una forma di oligarchia attraverso cui una minoranza ricca controlla il potere politico, appropriandosi dei mezzi per conquistarlo ed esercitarlo.
5.Il mercato controlla lo Stato, non il contrario
Anziché essere lo strumento con cui mitigare gli eccessi dei mercati e affermare la priorità del processo decisionale democratico, la cittadinanza, quando viene comprata e venduta, si trasforma in una merce come tutte le altre. Lo Stato, anziché contribuire a domare il potere capitalista del mercato, si arrende al suo cospetto.
6.Un tempo la cittadinanza dipendeva dai requisiti della proprietà (e del denaro). E ancora così
Un’altra modalità di accesso alla cittadinanza consiste nel sottoporre i potenziali nuovi membri a dei test che verifichino una competenza sufficiente nella lingua della comunità ospitante e una sufficiente conoscenza delle sue norme politiche di base. Questi test sono a pagamento (in effetti, una delle concessioni fatte dal governo britannico sulla scia dello scandalo Windrush, che nel 2018 ebbe come esito la deportazione e il trattamento ingiusto di cittadini britannici di origine caraibica, molti dei quali erano arrivati legalmente tra il 1948 e il 1971, fu eliminare la tassa per i migranti della generazione Windrush che desideravano richiedere la cittadinanza). Vincolare l’ottenimento della cittadinanza all’acquisto rievoca i tempi in cui i requisiti della proprietà stabilivano chi avesse diritto al voto.
7.Lo sfruttamento del lavoro e alimentato da una concezione etnico-culturale della cittadinanza, mentre ai lavoratori immigrati viene negata la rappresentanza politica
I test di competenza linguistica e civica per l’accesso alla cittadinanza comprimono la concezione progressista e civica di una comunità politica nella sua controparte etnico-culturale, così come l’ideale universale e inclusivo in uno particolaristico ed escludente. Se non si supera il test di integrazione civica non si ottiene la cittadinanza e con essa i diritti politici che ne risultano. Il che rievoca i tempi in cui a quanti parlavano soltanto il dialetto e a chi non sapeva né leggere né scrivere nella lingua nazionale non era concesso di avere voce e di partecipare alle decisioni politiche. I test di cittadinanza, nell’includere queste componenti linguistiche e civiche, cambiano un ideale lungimirante e trasformativo della comunità politica democratica in uno retrogrado e conservatore.
8.La cittadinanza nello Stato capitalista consolida l’emarginazione strutturale
In passato, le battaglie per la cittadinanza e per l’espansione del diritto di voto erano parte di una lotta attiva per la progressiva inclusione di gruppi sociali precedentemente emarginati e senza diritti: i poveri, i lavoratori, le donne, gli
abitanti delle colonie. Di contro, le attuali politiche di cittadinanza reificano tali esclusioni e consolidano le divisioni di classe, di genere e di etnia in cui affondano le radici. La cittadinanza rafforza il divario tra quanti sono considerati meritevoli di appartenere alla comunità politica e i membri di seconda scelta che non riescono a dimostrare di soddisfare i criteri ritenuti essenziali per la qualifica. La cittadinanza così intesa, anziché essere uno strumento per tutelare i membri vulnerabili della comunità politica, rimarca e riproduce la loro emarginazione.
9.La cittadinanza è stata emancipatrice finché la democrazia è stata il mezzo per combattere il capitalismo
La socialdemocrazia tradizionale nutriva la speranza che la democrazia avrebbe portato all’abolizione del governo di classe, e che il diritto di voto avrebbe trasformato i cittadini in soci virtuali di un’impresa cooperativa mirata a promuovere il bene della comunità politica nel suo insieme. Per dirla con le parole di Eduard Bernstein, il fondatore della socialdemocrazia moderna, in questo quadro di partecipazione democratica alla vita pubblica “i partiti e le classi che li sostengono imparano presto a riconoscere i limiti del proprio potere e a garantire, a ogni occasione, soltanto ciò che possono ragionevolmente sperare di ottenere, date le circostanze”.l La cornice di una tale ottimistica valutazione era però rappresentata da un ideale inclusivo di cittadinanza potenzialmente aperta a tutti. L’alba di un’epoca in cui la rimozione graduale delle barriere della proprietà, dell’alfabetizzazione e delle competenze tecniche era i l risultato della mobilitazione politica tesa ad ampliare i l diritto di voto.
Le condizioni per una valutazione tanto ottimistica, se mai fu giustificata, non esistono più. Oggi stiamo andando in una direzione esattamente contraria. Se nell’età dell’oro della cittadinanza espansiva la democrazia prometteva di sanare la comunità politica dagli effetti potenzialmente distruttivi del conflitto di classe, nell’età della cittadinanza restrittiva la lotta non può più essere moderata dagli strumenti politici istituzionali e non può più essere contenuta entro i canali standard della partecipazione politica. Una volta che la cittadinanza diventa, di nuovo, una cittadinanza per pochi, un bene da comprare, da vendere e scambiare come una merce, l’ideale inclusivo della democrazia non appare che una vuota promessa.
10.La rinascita della politica democratica richiede di superare il capitalismo, non di porre restrizioni all’immigrazione
Sorprende che i gruppi progressisti e democratici in tutto il mondo, mentre continuano a esibire un’adesione teorica a un ideale emancipatore di cittadinanza, stiano in silenzio.
11.Il problema non è la cultura ma il capitalismo
Il tradizionale pragmatismo della sinistra nell’affidarsi alla democrazia nazionale per aiutare e formare la trasformazione della cittadinanza su tali tendenze escludenti. Né i partiti politici ufficiali dei socialdemocratici né le associazioni elettorali dei partiti di sinistra trarre una qualche sollecitudine nell’indurre misure che contrastino la tendenza attuale e pongano rimedi. Il collasso della politica democratica in etno-politica e la fine dell’ideale universalistico e progressista di cittadinanza in uno particolaristico e conservatore procedono per lo più indisturbati. Per invertire questa tendenza è essenziale che i movimenti e i partiti di sinistra di tutto il mondo propugnino una svolta radicale rispetto agli impegni attuali in materia di politiche di cittadinanza. Dovrebbero farsi promotori di una campagna per l’abolizione delle pratiche che rafforzano la struttura di classe degli Stati liberali contemporanei, nonché escogitare misure radicalmente diverse sull’integrazione dei migranti. Misure che includono (ma non si limitano a) a) l’abolizione delle pratiche di ammissione “attestanti i mezzi”, b) l’eliminazione della cittadinanza selettiva e dei frammentari test d’integrazione culturale, nonché c) la rimozione delle pratiche che mercificano la cittadinanza.
L’autrice:
Lea Ypi insegna Filofofia Politica alla London School of Economics ed è ricercatrice permanente presso la Wissenschaftskolleg di Berlino. Nata e cresciuta in Albania e laureata alla Sapienza di Roma, è esperta di marxismo e teoria critica.
Vive a Londra.
Per BookAvenue, Loretta Severino
il libro:

Confini di classe.
Disuguaglianza, migrazione e cittadinanza nelo stato capitalista.
Idee Feltrinelli.
pp75 ed. 2025
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