clowds nuvole ©marinaandruccioli
   Tempo di lettura: 4 minuti

Da ragazzina mi sono imbattuta nei libri del grande Isaac Asimov, il quale oltre ad essere un brillante biochimico e scrittore, era anche un grande divulgatore scientifico ed in una sua intervista lessi questa sua frase: “La mia massima soddisfazione è prendere qualcosa di ragionevolmente intricato e renderlo chiaro passo dopo passo”. Asimov credeva fermamente che la scienza dovesse essere alla portata delle persone semplici e per questo scriveva per farsi capire da tutti.

Questo concetto mi rimase impresso e ammaliata dai suoi scritti e dal suo modo di fare divulgazione, decisi di creare un blog intitolato Verde curioso dove la curiosità incontrava una delle mie grandi passioni: la Natura. In questo blog mi esercitavo nel seguire le indicazioni di questo scrittore che oltre ad essere un divulgatore era anche un prolifico scrittore. Il ciclo della fondazione è un insieme di racconti che mi hanno catapultato in una galassia e in una zona temporale che solo un genio come Asimov poteva creare.

Il romanzo Canto di D’arco mi ha ugualmente trascinato in un altro mondo.
D’Arco è un poliziotto, anzi uno sbirro come si definisce lui stesso, ed è stato ucciso una notte durante un’indagine. Ma D’Arco è un detective particolare: è uno sbirro morto e indaga da circa tre anni nella città dei morti. Una sera, mentre è ancora nel suo ufficio presso la centrale di polizia della città dei morti ,uno sconosciuto che dice di chiamarsi Lazlo gli sussurra questa frase “I bambini della città dei morti si sono messi improvvisamente a cantare. E quando avrai capito perché i bambini cantano, saprai da solo quello che devi fare. Andrai fino in fondo. Se sarà necessario, ti spingerai fino alla città dei vivi”.

Comincia così questo thriller metafisico: le pagine di Moresco in cui ci smarriamo ci portano in una dimensione nuova che fatico a descrivere e ad incasellare, un libro davvero molto diverso rispetto a tutto quello che ho letto finora.
“Ma se non c’è il prima e il dopo, quando è successo? Accidenti, se è stato difficile o se lo sarà raccontare come sono passato dalla città dei morti a quella dei vivi, è ancora più difficile raccontare come sono tornato nella città dei morti!”.
Moresco scrive di questo viaggio tra la città dei morti e la città dei vivi, dove in ogni momento il detective dagli occhi bianchi si interroga su quale sia la realtà, se quello che sta vivendo è già avvenuto o deve ancora avvenire.

D’Arco si muove in questa continua terra di mezzo e mentre ascolta i bambini cantare incontrerà un bambino che lo aiuterà nella sua missione, combatterà senza sosta contro ogni responsabile della uccisione di tanti bambini, ci farà conoscere la donna di cui è innamorato e mentre leggiamo pagine spesso crude ci rendiamo conto che più ci addentriamo nella storia e più ogni convinzione logica ci viene sottratta.
D’Arco cerca pagina dopo pagina di raccontarci un qualcosa che difficilmente si riesce a spiegare in modo lineare e coerente, ed è proprio questa la parte affascinante di questo particolarissimo romanzo: percepiamo lo spostamento del confine sempre un pochino più in là, il limite che viene ogni volta superato e mosso continuamente.

Un viaggio (forse) folle, un’epica lotta tra il bene ed il male, un uomo che si interroga e grandi interrogativi che ci passano tra le mani mentre tentiamo di capire se è tutto già successo o se deve ancora tutto accadere.
E allora mi metto di nuovo a camminare nel buio, dice D’Arco.
E seguendo le parole vergate dalla penna di Moresco, anche noi ci incamminiamo nel buio, seguendo i passi di questo sbirro dagli occhi bianchi.

per BookAvenue, Marina Andruccioli


Il libro:

Antonio Moresco,
Canto di D’Arco,
Sem edizioni
ed.2019 pp.703


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