Chinua Achebe è morto, di questi tempi, tre anni fa (a marzo del 2013). Era anziano ma non vecchio, nel senso che diamo ad un uomo l’età di 82 anni. Aveva poco più di trent’anni quando alla Nigeria fu concessa l’indipendenza dall’impero britannico e agli inizi del 1960 era già famoso in tutto il continente nero come “lo scrittore” più importante d’Africa. Giusto un paio di anni prima un coraggioso editore inglese: Heinemann, gli aveva pubblicato “Il crollo”, probabilmente il primo romanzo africano che molti dei suoi ammiratori – dentro e fuori il continente – avessero mai letto.
Achebe racconta la storia di Okonkwo, un anziano di etnia ibo, forte e orgoglioso, un eroe secondo le tradizioni della sua cultura, tradito, abbattuto dalle stesse nel suo primo, violento, incontro con il potere coloniale: tutto questo ha reso iL Crollo il libro più noto dell’intera letteratura africana, con quasi dieci milioni di copie vendute.
A proposito di crollo, ma di stile in questo caso, così mi tolgo il pensiero di dirlo, l’opera di Albert Chinualumogu Achebe è (stata) pubblicata da noi principalmente dall’editrice Jaka Book, alla quale rimprovero la colpevole assenza di quasi tutti i suoi libri dal commercio ormai – Crollo compreso – e di strafregarsene. I soli libri in circolazione si limitano ad una raccolta di poesie, Attento soul brother”, e un saggio: “Speranze e ostacoli” e basta.
…Metti che uno/a vuole scrivere una tesi di laurea su Achebe, dirotterà questo cattivo pensiero su un più facile autore contemporaneo magari di queste parti, chessò, uno tipo Moccia. Più consono alla società liquida di oggi. La mia amica Giulia Riva della libreria Griot, la sola in Italia, specializzata in letteratura africana, sarà d’accordo con me.
Ma “Il crollo” non è solo un “grande romanzo africano”. E’ un grande romanzo punto e basta. Molti scrittori amerebbero fregiarsi di questo distintivo di universalità, ma Achebe – giunto alla tomba senza aver ricevuto il Nobel che avrebbe meritato almeno quanto qualsiasi altro autore della sua epoca, sosteneva che essere definito uno scrittore, piuttosto che uno scrittore “africano”, era una ammissione di sconfitta. Il suo progetto, infatti, era sempre stato quello di resistere dall’idea secondo cui la cancellazione dell’identità africana fosse un prerequisito indispensabile per essere definiti civilizzati e nel suo caso membri del club universale degli autori; ri- punto e basta.
Cresciuto come lui stesso disse in più di un’occasione pubblica “un bambino sotto protezione britannica” durante il regime coloniale, da giovane lo scrittore si convinse che la pretesa dell’impero secondo cui l’Africa non avesse una storia, fosse un tentativo violento, anche se a volte frutto dell’ignoranza o di incoscienza, di annullare la storia dei popoli del continente. Di questa convinzione Achebe ne fece una battaglia di una vita ri-affermandolo per l’intera durata della sua carriera – in ogni momento e in ogni occasione – sia che si trattasse di incontri pubblici che con i suoi libri. Ma fu anche un avversore del secessionismo dalla nazione della regione meglio conosciuta come Biafra. (Indipendenza costata nei soli tre anni di vita della neo-nazione -a fine anni sessanta- quasi un milione di morti). In seguito Achebe pubblicò molti romanzi, racconti e saggi. Tutta materiale letterario di grande forza con cui ha evocato, in un coro di voci, i processi della storia precoloniale e coloniale della Nigeria, e i traumi delle sue sofferenze post-indipendenza.
Per la letteratura Africana moderna non è stato solo un padre, ma anche un cacciatore di talenti; per decenni Achebe è stato direttore di collana degli scrittori africani proprio per la Heinemann. In quel ruolo scoprì e sostenne molti autori alcuni dei quali enormi e non solo della o per la letteratura africana, appunto. Parlo di premi Nobel come Gordimer o Soyinka. Ma ce ne sono stati davvero molti anche se privi della pergamena svedese.
Narratore e voce della nazione, impresario culturale, intellettuale battagliero e provocatore, Achebe si conquistò con gli anni lo status di vecchio saggio oggi raramente riconosciuto ad uno scrittore. Ebbe un brutto incidente qualche anno fa e ha trascroso i suoi ultimi anni negli Stati Uniti dove ha insegnato nelle loro più prestigiose università. Quelle poche volte che è tornato nel suo paese, veniva salutato come un eroe nazionale, sentimento ricambiato con qualche severa critica all’incapacità dei suoi concittadini di emanciparsi da quel colonialismo intimo che li attardava dalla modernità.
per BookAvenue, Michele Genchi