C’è del marcio in Danimarca

guscio mcewan
   Tempo di lettura: 7 minuti

Come accaduto altre volte, io e il mio amico Marco Crestani, prima l’uno, poi l’altro, finiamo con lo scrivere dello stesso autore e dello stesso libro. Accade solo per Ian McEwan, la cui passione condivisa è cosa ben nota ai lettori di BookAvenue. Fin dall’inizio di questo libro bi-recensito, si sente il McEwan in modalità thriller: il più intrigante per me e le molte decine di migliaia di fan, cresciuti e no, del grande scrittore inglese.

Come sempre McEwan costruisce i suoi plot narrativi attingendo a piene mani nel suo straordinario talento. La faccio breve: “Nel guscio”, il suo ultimo romanzo, fa il verso all’Amleto di Shakespeare, dove l’infedeltà delittuosa di Trudy e suo cognato Claude nei confronti di John suo marito, non è osservata da un anonimo testimone oculare ma da… un feto di nove mesi, a due settimane dalla sua nascita.

Il non-ancora-nato, protagonista del libro di McEwan e voce narrante del romanzo, è una gioia di personaggio assai spiritoso, dotato di molta eloquenza, di grande intelligenza e già gran bevitore consapevole suo malgrado ma che gode di ogni buon bicchiere o due di Sancerre Roger o di borgogna (ma anche di whisky) decantato attraverso una salutare e filtrante placenta, che ha molto tempo e materiale umano, ma non solo, per voli contemplativi e di fantasia. Dice: “I miei pensieri e la mia testa sono pienamente impegnati…sono immerso in astrazioni proliferanti che creano l’illusione di un mondo conosciuto. Quando sento ‘blu’, che non ho mai visto, immagino un evento mentale abbastanza vicino a ‘verde’ – che non ho mai visto”. Ancora: ” Mi considero innocente in senso lato, privo di obblighi, spirito libero, nonostante il mio salotto scadente. Nessuno mi contraddice o mi rimprovera, nessun nome o indirizzo precedente, nessuna religione, nessun debito, nessun nemico. Il mio diario di appuntamenti, se esistesse, annoterebbe solo il prossimo compleanno. Sono ciò che i genetisti dicono una tavola vuota”.

Ogni pagina, ogni paragrafo, ogni frase di questo libro sono bellissimi; nessuna parola è fuori luogo, nessuno strano accostamento che lanci il sospetto che il manoscritto sia stato rimaneggiato da una qualche vaga forma di editing; McEwan sa essere ilare a modo suo e con lui, il suo personaggio. Sentite, anzi leggete, quest’altra: “Quando sento il suono amichevole delle automobili che passano e una leggera brezza agita quello che credo siano le foglie di castagno, quando una radio portatile dietro di me scompiglia un prolungato tumulto tropicale e illumina il mio mare interno e il suo bagliore deriva a frammenti, allora so che mia madre sta prendendo il sole sul balcone fuori dalla biblioteca di mio padre.

Il piacere principale è vedere come McEwan utilizza il suo straordinario mestiere ad ogni scena offrendo sempre un nuovo punto di vista: è l’effetto della consistente perspicacia con cui ha dotato il protagonista ancora ostaggio dei tempi dettati dall’evoluzione. La nuova prospettiva nelle scene del sesso è esplorata pienamente e in modo allarmante, in una serie di incontri che a loro volta sono esilaranti, commoventi e orribili, tipo quello che segue: “Non tutti sanno cosa significhi avere il pene del rivale di tuo padre a pochi centimetri dal naso. A questo stadio, dovrebbero astenersi. La buona creanza, se non il buonsenso clinico, lo vorrebbe. Chiudo gli occhi, serro le gengive, mi tengo forte alle pareti dell’utero. […] A ogni singolo colpo di pistone, ho terrore che possa fare irruzione e fottersi il mio cranio molle e inseminarmi col latte brulicante della sua banalità”. E’ abbastanza chiaro che suo zio gli sta abbastanza sulle scatole, ammesso sappia cosa siano. “Sarò il figlio di Claude”, sembra confessare con terrore a se stesso.

 

Potrei continuare a citare solo i paragrafi che penso siano notevoli, ma sono così numerosi che finirei con riscrivere praticamente la totalità del libro. Spero basti dire che questo è un romanzo da godersi mentre scoprirete, durante lo sfogliare di pagine, che McEwan trova tempo per riflettere sui cambiamenti climatici, sull’estremismo religioso, sui guerrieri della giustizia sociale e sulla politica dell’identità, per non parlare di molte, moltissime citazioni shakespeariane contrassegnate dal punto di vista scherzoso, con alcune delle quali ho ossessionato i miei colleghi al lavoro e molte altre che ho risparmiato loro, solo per non finire a calcioni nel didietro sbattuto fuori dalla mia libreria.

Nel complesso è il solito McEwan, scrittore che conosco fin troppo bene e al quale devo gratitudine per “Bambini nel tempo,” libro che mi ha fatto conquistare il cuore di mia moglie, il tono generale qui è ottimo stato anzi, stellare direi. Il debito di benevolenza non si esaurirà mai, sappiatelo.

Anche se la storia che è stata raccontata è un commedia tragicomica -tragica per quella scema di Trudy, che non ho davvero ben capito come ha fatto ad andare in brodo di giuggiole per quell’ignorantone di Claude e di come due spiantanti si rivelano dei miserabili assassini, e comica per il personaggio del non-nato-, il messaggio che emerge dal testo è che raccontare e, quindi, leggere storie sulle tragedie è la nostra migliore speranza di comprendere le molte miserie del nostro tempo.

Eros e Thanatos. Amore e morte. Dopotutto, oltre un parto annunciato, non c’è niente che il mio amato narratore possa fare per agire o influenzare gli eventi; e per i personaggi, quello che può fare è pensare a loro, analizzarli, parlare di loro, giocare con le parole e idee e concetti. Forse attraverso questo processo la tragedia può diventare qualcosa di trascendente, un soggetto adatto alla letteratura del mondo.

Finisco. Aspetto con ansia di vederla a teatro, questa commedia nera. Con John, Claude, Trudy, Elodie e tutto il resto.

 

Per BookAvenue, Michele Genchi

 

Ian McEwan, Nel guscio. Einaudi ed. pp.173, 18,00 euro

 

ndr.
Il titolo di questa recesione è suggerito dall’aletta di copertina del libro. Non ne conosco l’autore ma lo ringrazio: non ne ho potuto fare a meno.

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