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Amélie Nothomb, Uccidere il padre

Non poteva mancare, fra le cronache da Bruxelles un articolo su Amelie Nothomb, di fatto la più famosa scrittrice belga. Lasciando da parte il personaggio, una volta straordinariamente eccentrico e originale, ora forse un po’ adagiato sull’immagine di se stessa e delle sue stranezze, l’autrice é sicuramente degna di nota sulla scena francofona e non solo, per la particolarità della sua scrittura e della sua visione del mondo.
Al suo attivo abbiamo ormai una ventina di romanzi, quasi tutti tradotti anche in italiano.
Mi soffermo sul suo ultimo libro, Uccidere il padre, pubblicato in Italia nel 2012 da Voland e in Francia nel 2011 da Albin Michel, il suo fedele editore.

Erik Larson, Il giardino delle bestie

Oggi è difficile sfuggire alla storia in divenire: chiunque abbia uno smartphone è in grado di seguire una rivoluzione e di riferirne al mondo e, anche se l’accesso istantaneo presenta la realtà così come la si riprende, le analisi sono sempre successive: pubblica prima-verifica dopo è, infatti, il linguaggio corrente del web. Sicuramente meglio di quello che successe nella Germania nazista tra il 1933 e il 1934, quando un gruppo di sadici psicopatici assunse il potere di un paese e il resto dell’umanità rimase semplicemente a guardare quello che quel potere voleva far vedere.

Palinsesti woolfiani, l’influenza di Virginia Woolf arriva ai nostri giorni

L’opera di Virginia Woolf non ha mai smesso di scuotere, probabilmente fin dal giorno della sua creazione e sicuramente fino ai nostri giorni. Si parla della sua influenza nel saggio Palinsesti woolfiani. L’influenza di Virginia Woolf nei romanzi “Light” di Eva Figes e “The Hours” di Michael Cunningham (2012, Edizioni Il Foglio). L’autrice, Daniela Neri, nata in Italia e inglese d’adozione, offre un approfondimento puntuale ed esaustivo in particolare sulla scrittura woolfiana rielaborata da Eva Figes (Light) e da Michael Cunningham (The Hours). In una suggestiva cronistoria passa in rassegna i palinsesti più noti della letteratura (secondo la definizione di Gerard Genette e il concetto di intertestualità proposta da Julia Kristeva) e analizza le opere delle scrittici e degli scrittori che hanno adottato l’ipotesto woolfiano.

La lotta di classe dopo la lotta di classe

riceviamo e volentieri pubblichiamo

La classe di quelli che da diversi punti di vista sono da considerare i vincitori – termine molto apprezzato da chi ritiene che l’umanità debba inevitabilmente dividersi in vincitori e perdenti – sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti.
Questa classe dominante globale esiste in tutti i paesi del mondo, sia pure con differenti proporzioni e peso. Essa ha tra i suoi principali interessi quello di limitare o contrastare lo sviluppo di classi sociali – quali la classe operaia e le classi medie – che possano in qualche misura intaccare il suo potere di decidere che cosa convenga fare del capitale che controlla allo scopo di continuare ad accumularlo.
Caso la lettrice o il lettore non lo sapessero:
il maggior problema dell’Unione europea è il debito pubblico.
Abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra dei nostri mezzi.
Sono le pensioni a scavare voragini nel bilancio dello Stato.
Agevolare i licenziamenti crea occupazione.
La funzione dei sindacati si è esaurita: sono residui ottocenteschi.
I mercati provvedono a far affluire capitale e lavoro dove è massima la loro utilità collettiva.
Il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore: acqua, trasporti, scuola, previdenza, sanità.

È la globalizzazione che impone la moderazione salariale.
Infine le classi sociali non esistono più.

David Grossman. A un cerbiatto somiglia il mio amore

David Grossman ha recentemente terminato il suo ” tour” europeo iniziato nel 2010 e conclusosi proprio il mese scorso a Bruxelles, per l’ultima tappa. Tour per promuovere il suo ultimo romanzo, ma non solo. L’esperienza di ascoltare dal vivo e incontrare David Grossman rimane sempre qualcosa di affascinante e di unico al di là dell’occasione e delle spesso imbarazzanti domande poste dai giornalisti (soprattuto riguardo la sua vicenda personale), perché la profondità, l’umanità e la sensibilità della persona trascendono il ruolo dello scrittore, per arrivare semplici e dirette all’ascoltatore. Non si tratta del carisma o della personalità, ma del valore e del contenuto delle sue parole che non sono quindi solo prerogative dei suoi libri.

Haruki Murakami, 1Q84

Con questo articolo Silvia Bertolotti inizia la sua collaborazione con BookAvenue

E’ rimasta avvolta nel mistero fino all’ultimo la pubblicazione dell’ultimo romanzo di Murakami Haruki. Nessuna promozione, nessun annuncio. Sia da parte dell’autore che della sua casa editrice, Shinchosha, che non hanno nemmeno rivelato alcun dettaglio sull’opera. Una grande attesa che si é risolta per noi italiani qualche mese fa, per i Giapponesi nel 2010. Enigmatico é anche il titolo del libro 1Q84 che farebbe di primo acchito pensare a 1984 di G. Orwell. Un rimando forse. Più che altro una sovrapposizione piena di significati. La lettera Q infatti ha la stessa pronuncia del numero 9 in giapponese (kyuu). Quella Q rimanda anche alla parola inglese question, perché numerose sono le domande che si pongono i personaggi del libro e noi lettori. Il romanzo stesso é un questionare non troppo implicito sulla realtà stessa. Sembra complicato e, in effetti, la struttura di questo libro é stata spesso definita complessa e surreale, ma a dire il vero é paradossale parlare di complessità per Murakami. Forse a livello di contenuti, ma lo stile e i personaggi mantegono sempre una linearità, un’essenzialità, una trasparenza del tutto nipponica. D’altro canto é difficile definire Murakami uno scrittore soltanto giapponese, quand’anche le sue storie siano ambientate a Tokyo, i suoi personaggi si chiamino Komatsu, Aomame, Tengo e non manchino mai descrizioni di chirashi, udon e zuppe di miso.

Paolo Sylos Labini, un maestro di civiltà

“Un uomo di cultura è tale se sa guardare in modo non superficiale oltre il presente, sia verso il passato sia, per formulare congetture, ipotesi e decisioni – soprattutto se è uomo politico – , verso il futuro”.
Questa una delle tante frasi significative pronunciate nel corso della sua vita terrena dal sempre attuale Sylos Labini. Un pensiero civile, sconfinato, espresso sempre con vivacità e chiarezza utile a tratteggiare una parte importante della storia italiana. Capita quotidianamente di “incontrarlo” nelle pagine di un libro o di un quotidiano. Non c’è fatto socio economico che non ci riconduca alla sua azione di civil servant. Peraltro, l’aggettivo civile è stato uno dei più usati dal maestro per indicare una persona civile (si pensi alla descrizione del prezioso Ernesto Rossi) o a quella civiltà limitata in cui si era ridotto il nostro Paese visto con i suoi occhiali di osservatore acuto, attento e con la coscienza della persona per bene.

Fattacci. Storia di un’ordinaria follia famigliare

Nel 1993 l’Italia fu sconvolta da un caso di omicidio familiare senza precedenti: Rosalia Quartararo uccise la figlia diciottenne e ne occultò il cadavere in una roggia della Bassa lodigiana. Per gli inquirenti il movente fu passionale: la donna si sarebbe innamorata del fidanzato della giovane e, in preda a un furioso attacco di gelosia, avrebbe eliminato la «rivale» con ferocia inaudita. Rosalia fu condannata all’ergastolo e inserita nei trattati di criminologia tra le assassine più spietate. Per cancellare l’etichetta di mostro attribuitale dai media, Gianluca Arrighi ne ha ricostruito la complessa vicenda processuale cercando di rispondere a una domanda cruciale: cosa scatta nella mente di una madre che uccide la figlia?