Ho preso in prestito una frase di Concita De Gregorio, dal suo libro Così è la vita. Imparare a dirsi addio (Einaudi, 2011), un must da non perdere per chi volesse scrollarsi di dosso le visioni abbacinanti delle scorse legislature. Che c’entrano con un libro, direte voi. Ciò che spesso si ignora è che tanti comportamenti “politici”, abilmente amplificati dalla cassa dei media (spesso manovrati direttamente dall’alto, come ci ha tristemente dimostrato l’ex premier) inducono a emulazioni di massa o, più precisamente, a desiderio di emulazione. Se i genitori hanno diretta responsabilità negli insegnamenti dei figli, i padri di una nazione (i politici di turno) impartiscono anche loro (sempre volutamente) un’idea di comportamento. E così, negli ultimi vent’anni circa, chiamiamolo pure ventennio berlusconiano, pace all’anima sua, abbiamo assistito ad una sorta di copertina patinata del Governo, tra bellezze catapultate in ruoli tanto delicati quanto lontani dalle loro precedenti condotte di vita e fauci maschili spalancate stile cavernicoli in preda a raptus volitivi. “L’estetica detta l’agenda politica”, scrive De Gregorio, riassumendo in poche parole l’ordine avvilente creato da abili strategie televisive, giornalismo di basso livello, e proclami elettorali speziati da volgarità in brutta mostra.
In questa sezione del sito raccogliamo il meglio delle nostre e vostre letture. Il libro vecchio o nuovo che ha animato le giornate di ognuno.
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Letture
Un reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale
C’è un libro che ho riletto volentieri, approfittando della “quiete natalizia” non solo perché ben scritto, ma anche perché già nella parte introduttiva anticipa scenari che stiamo vivendo in questi giorni.
Si tratta de “La Società cinica” di Carlo Carboni che ha come sottotitolo fondamentale le classi dirigenti italiane nell’epoca dell’antipolitica.
In tempi in cui la mala politica ha passato il testimone (volentieri o malvolentieri) ad un Governo ancora in fase di osservazione quel rifiuto per l’enorme distacco tra società ed elite è stato per così dire congelato. Si è passati da una demolizione costante della classe politica alla curiosità per un nuovo esecutivo che prometteva “tecnicamente” lacrime e sangue. E le lacrime ci sono state…ma la politica quella del circolo chiuso nel frattempo non si è tagliata i costi e, in alcune regioni addirittura con sfida e arroganza , si sono create nuove provvidenze che definire vergognose è poco se si pensa a chi davvero “sanguina” ; con la fatica di arrivare a fine mese con il minimo dell’emoglobina per sbarcare il lunario e sfamare una famiglia. In questo senso è pienamente condivisibile l’analisi recente del Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino che con significative parole ammonisce che : L’impressione è che la corruzione in Italia sia rimasta stabile negli ultimi anni, perché non si avverte un reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale; l’onestà, in ogni rapporto anche privato; la valenza del merito; l’etica pubblica; il rispetto del denaro pubblico e di tutte le risorse pubbliche, che sono i beni coattivamente sottratti ai privati e dei quali si deve dar conto”.
Uscire dalla palude
C’è un nuovo libro nel panorama editoriale italiano che di questi tempi assume un significato importante poiché volge lo sguardo all’esigenza di una vera classe dirigente capace di assicurare il buongoverno. La fragilità del fenomeno necessitava di una analisi per indicarne le cause e gli opportuni rimedi.
Il libro in questione, agile e snello, è “l’Eclissi della Borghesia” di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Per comprendere il nucleo essenziale dell’opera occorre avere chiara anzitutto la terminologia sulla quale si sono basati gli autori. Borghesia, quella di èlite illuminata e illuminante, da non confondere con l’aspirante e “petulante” ceto medio.
Una borghesia addormentata, in caduta libera, smarrita, in cerca di autore o di una nuova “personalità”. “Ogni ambizione priva di talento è nient’altro che un crimine” per dirla con Chateaubriand.
Questo smarrimento ha prodotto un “discount” della classe di Governo, quasi una “terza classe” di un Titanic senza timonieri o con timonieri che non conoscono più la cabina di comando spingendo tasti a caso nella speranza di trovare quello giusto.
Irène Némirovsky, Il calore del sangue
Quest’anno l’autunno è precoce. Mi alzo prima dell’alba e passeggio per la campagna, tra campi che sono stati di proprietà della mia famiglia per generazioni, e oggi sono posseduti e coltivati da estranei. Non posso dire di soffrirne: solo, di tanto in tanto, ho una lieve stretta al cuore… Non rimpiango il tempo perso in cerca di fortuna, a comprare cavalli in Canada, a trafficare in olio di cocco nel Pacifico. A vent’anni la voglia di andarmene e la noia soffocante della provincia mi attanagliavano al punto che se mi avessero costretto a restare qui ne sarei morto, credo. Mio padre non c’era più, e mia madre non riuscì a trattenermi. « È come una malattia,» mi diceva, impaurita, quando la supplicavo di darmi del denaro e lasciarmi partire «abbi un po’ di pazienza e ti passerà».
Lo spread tra Stato e Società
L’ultima fatica di Sabino Cassese inizia con una frase di Goethe e termina con una serie di condivisibili interrogativi. Una cosa è certa: la debolezza dell’Italia, la fragilità di uno Stato dove il vuoto che si è creato si è riempito di molteplici tarli che ne hanno minato nel tempo le istituzioni di ogni livello privandole di quel senso tipico delle Nazioni forti e coese.
Il richiamo alla coesione non a caso è stato più volte ribadito dal Presidente della Repubblica, uomo di altri tempi. Tempi in cui tra società e Stato non c’era questa evidente frattura scomposta in luogo dell’attuale alluvione di fango che ha ricoperto il Paese ridotto ad allievo svogliato ed in mano ad improbabili precettori che ne hanno oscurato cultura, storia e costume e soprattutto l’idea di cittadinanza, di popolo. Il lavoro di Cassese è dunque una mirabile e scruolosa requisitoria come lo è stata nel passato il je accuse di Silvio Spaventa parlando di Giustizia nell’amministrazione quando auspicava con il rispetto della pazienza de i suoi uditori “Questa specie di amministrazione non può andare alla lunga ed essere tollerata pazientemente. Guai se avvenisse diversamente!
Dalla caduta dell’Etica pubblica all’Elogio del Moralismo. Il nuovo libro di Rodotà.
Stefano Rodotà è poliedrico. Multidisciplinare. Ed ha un punto fermo nella sua vita di insigne studioso e di stimato uomo politico: il rispetto delle regole.
E se pensiamo ad un Garante della Privacy pensiamo sempre a Rodotà. E se pensiamo ad un garante “istituzionale” ci viene sempre in mente il nome dell’autorevole giurista.
Provando a fare una recensione del suo ultimo libro “Elogio del Moralismo” edito da Laterza (fa piacere la sobrietà della copertina) , la mente è andata subito ad un altro Elogio. Quello della Mitezza di Bobbio.
Contro ogni arroganza. E contro l’arroganza del potere. Il moralista non è un debole, ma un giusto. Un giusto che si è stancato di vedere le ingiustizie.
E’ significativo che il libro di Rodotà esca proprio in tempi di saldi di costumi e valori. Tempi che però ci piace sperare che stiano cambiando. In dieci giorni tutto si è ribaltato. Dal carnevale si è passati alla Quaresima. Una Quaresima non già di privazioni, ma di senso della misura. Come è giusto che sia. E qui torna il termine “giustizia” con l’immagine della bilancia.
La profezia di Francesco Cossiga
Questo è uscito nel maggio del 2010. Tre mesi dopo, il 17 agosto, Francesco Cossiga è morto. O meglio: s’è lasciato morire. Nell’ultimo capitolo, emblematicamente intitolato «Solitudine, caduta e morte del leader», aveva spiegato come la politica sia più di un mestiere. «E’ una droga che non prevede disintossicazioni», aveva detto. Più che una ragione di vita, è la vita stessa. E quando si è costretti a rinunciarvi si finisce spesso per rinunciare a tutto il resto. Si muore, insomma. Come Spadolini, come De Gaulle, come tanti altri di cui Cossiga ha, con involontaria autoprofezia, parlato nel libro.
La paura delle donne. Intervista a Marcela Serrano
Nove donne si ritrovano lo stesso giorno nello stesso luogo, chiamate dalla terapista che hanno in comune, per raccontare la loro storia. Non si conoscono, per cui raccontano le loro vicende dal principio. Insieme alle loro vite, raccontano le ragioni per le quali sono andate in terapia. Natasha, la terapeuta, è la catalizzatrice, il filo conduttore di ogni storia, ma non ascoltiamo mai la sua voce, anche se sappiamo che è presente. Nell’ultimo capitolo conosciamo la storia di Natasha, raccontata da un’altra donna ancora. Sono tutte donne molto diverse tra loro, come dimostrano le loro origini, professioni, età, estrazione sociale e linguaggio.
Storia di pagine strappate
di Michela Murgia
L’altro giorno sono entrata nella libreria di Cagliari dove di solito mi servo e ho fatto quello che faccio sempre prima di decidere cosa acquistare: per mezz’ora ho guardato i libri. Il mio libraio è un vero libraio, un tipo in gamba, non di quelli che ti arrivano addosso mentre sbirci gli scaffali declamando come un mantra “in cosa possa esserle utile?” O invadente commesso di libreria, fattene una ragione: non puoi essermi utile, a meno che i tuoi occhi non possano vedere i libri al posto mio. Il mio libraio, che è un vero libraio, questa cosa non la fa: invece aspetta.