Dell’indagine si deve occupare il vicequestore Rocco Schiavone da poco trasferito in punizione da Roma ad Aosta. Poche le tracce intorno al corpo maciullato, briciole di tabacco, qualche lembo di indumento e qualche altro segno che fa pensare a un delitto. La vittima è un catanese, Leone Micciché, che ha lasciato la Sicilia per avviare quassù in mezz0 alla neve una riuscita attività turistica.
Si è unito nella vita e negli affari a una delle più belle donne del paese, Luisa Pec, che per lui ha mandato all’aria il matrimonio con uno del posto. Per Schiavone tre piste da seguire, vendetta di mafia, i debiti, il delitto passionale. Non sarà facile venire a capo del caso, tutto qui sembra molto labile come lo è il paesaggio, i sentimenti sembrano risentire di questo clima assai ghiaccio pur se le passioni divampano incontrollate. Tutti qui si conoscono, molti sono legati da vincoli di parentela, prosperano varie attività, insomma sembra un angolo di paradiso ma…
Il vicequestore Schiavone è finito quassù tra i monti in punizione, lui è un poliziotto che ama la bella vita, le belle donne, i denari, non esita a farsi corrompere.Un cinico che odia tutti e tutto, anche se in fondo è un buon poliziotto. Qui ad Aosta si trova male, urla spesso ” Che palle ” in questa città seria dove tutti lavorano e si fanno i fatti loro. Schiavone è un poliziotto sui generis, tutto il contrario del cliché dei puri e degli onesti, però è attaccato al suo mestiere e al suo ruolo, tant’è che manda sempre a quel paese chi non lo chiama vicequestore ma commissario… Non sopporta la lontananza da Roma, ma in compenso non si fa mancare neppure nella nuova sede le conquiste femminili, vorrebbe però coronare un sogno che aveva condiviso con la moglie, ritirarsi in Provenza. La routine di questa vita ad Aosta viene interrotta dal ritrovamento di un cadavere su una pista da sci. Rocco Schiavone in mezzo al freddo e alla neve, vestito alla…cittadina, loden e clark, si reca sul posto iniziando con i suoi uomini le indagini. Il suo rapporto con i subalterni è molto umorale, va a simpatie, non ha un minimo di pazienza, l’unico con cui lega è l’agente Pierobon , un tipo sveglio che ne diventa il confidente. Scoperto chi è il morto, va ora trovato il movente anche se le ipotesi sono tante. Quel che però sembra interessare maggiormente Antonio Manzini in Pista nera è la personalità dello Schiavone, gli serve per riproporre il conflitto tra Nord e Sud, il contrasto tra la limpidezza di questi posti e la sporcizia di Roma, qui quiete, amicizia, onestà,fiducia là confusione, ignoranza, scorrettezza, paura. Però proseguendo nel racconto non è poi così semplice, né tutto è idilliaco come pare, anche qui covano passioni, rancori,sospetti, e Schiavone, pur muovendosi con la grazia di un elefante in una cristalleria, finisce per restare simpatico, non tutto nei suoi compor- tamenti del passato e del presente è accettabile però ha una sua etica e poi, il che non guasta, ha una grossa carica di vitalità e di iro- nia, basta vedere come suo malgrado si adatti al clima della valle, acquistando scarponi e guanti imbottiti. Non è quel che comunemente si dice un brav’uomo, ma si finisce per parteggiare per lui, perché nel combattere il male non conosce esitazioni , da una caccia spietata agli assassini, è un a figura complessa, un po’ sbruffone, un po’ guascone.
Alla resa dei conti fa anche pena perché fondamentalmente è un uomo solo. Il vicequestore Schiavone è tutt’altro che simpatico, arrogante, scorretto, poco onesto, una persona però che con la sua esperienza, la sua freddezza e il suo disincanto nei confronti degli altri riesce a non farsi coinvolgere dalla bellezza maestosa dei luoghi e dal- l’apparente isola di felicità in cui tutti sembrano vivere. E arriverà a capire, lui estraneo a tutto questo, come sia potuto finire un altro… straniero come lui. Rocco Schiavone è un personaggio acido e scorretto che però Manzini sa rendere simpatico. Spira una certa aria di divertimento in queste pagine, il nostro protagonista accosta sovente le fisionomie umane a quelle degli animali, così abbiamo facce di donnole, di faine, etc.etc. Dopo un romanzo più che promettente come era “La giostra dei criceti” l’autore torna, trascorsi ormai sei anni, con una storia che è un miscuglio tra commedia, thriller e storia di vita. E’ il ritratto di un uomo dalle tante personalità, quella corrotta, quella violenta, quella cinica ma anche dal cuore puro con quel suo fare gigionesco, tanto lui viene dalla capitale… Ma Manzini si intende anche di come si scrive un giallo, confezionando un giallo classico con indizi, sospettati, presunti col- pevoli in un rovesciarsi continuo di situazioni. I personaggi del racconto sono molti, pur se essenzialmente tutto gira intorno al protagonista, attorno a lui una massa di perso- naggi, magari non troppo approfonditi. Manzini tratteggia varie figurine, gli agenti che Schiavone chiama ” Stallio e Ollio”, tanta ….adipe e poco cervello, le donne belle pronte a tramare e spettegolare, l’amico di Roma poco raccomandabile. Sullo sfondo la maglie Marina, che fa da contraltare e coscienza critica al protagonista.
E ancora i valligiani con le loro sicurezze, il loro universo apparentemente poco scalfibile, e ci vorrà questo ” buzzurro ” romano per far saltare il banco con i suoi metodi poco ortodossi. Una storia ben orchestrata, che appassiona ilo lettore, una vicenda molto attuale anche da un punto di vista morale e politico, tra una divagazione e l’altra tante sono le riflessioni sul degrado morale di questa nostra Italia. A proposito, Manzini deve possedere anche delle qualità divinatorie, che ve ne pare della storia del giudice Ingroia a suo tempo trasferito ad Aosta ?