Le ultime elezioni amministrative, per quanto limitate, hanno fatto giustizia di uno degli ultimi miti della politica italiana, ossia del presunto attaccamento dei cittadini alle istituzioni comunali. Quando quasi sei elettori su 10 non vanno a votare, evidentemente del comune non interessa più nulla a nessuno. Per capire le ragioni di questo distacco, clamoroso in un Paese legato a millenarie tradizioni municipali, è utile leggere il libro di un protagonista della politica locale, Roberto Balzani, catapultato all’improvviso dal tranquillo tran tran di docente universitario a sindaco di Forlì.
S’intitola Cinque anni di solitudine – Memorie inutili di un sindaco (Il Mulino, 124 pagine, 12 euro). Non date retta al sottotitolo: queste riflessioni del sindaco sono tutt’altro che inutili e meritano di essere meditate non solo dai suoi colleghi, vecchi e nuovi, ma anche dai cittadini che ancora si ostinano a considerare la politica come il metodo per cercare di vivere decentemente insieme. E qui indico due ragioni d’interesse.
La prima ha a che vedere col presunto immobilismo istituzionale che sarebbe determinato dalla pervicace volontà di non cambiare nulla per salvaguardare posti e privilegi. In realtà, obietta il sindaco-professore, nulla vieta che accorpamenti e aggregazioni di servizi ed enti locali si facciano su base volontaria: in attesa dell’ipotetica, epocale abolizione delle province, gli amministratori locali potrebbero già oggi praticare una “semplificazione dal basso”. È una questione di volontà e, soprattutto, di responsabilità, che darebbe nerbo a un autentico federalismo partecipato.
La seconda osservazione riguarda la denuncia di Balzani circa la dispersione della cittadinanza in un rivolo di micro-rivendicazioni spicciole, magari legate a rispettabilissime esigenze, nelle quali, ormai, si esaurisce l’impegno pubblico. Secondo l’autore, “la riproduzione ipertrofica di gruppi settoriali denota anche la difficoltà di fare sintesi, la tendenza a isolarsi con pochi pari in ambiti minuscoli”. La tendenza poteva esse rincorsa quando c’erano risorse per tutti; ma oggi che le risorse si sono esaurite, anche per gli elettori è tempo di responsabilità.
Sottoscrivo il commento di Michele, analisi lucida e reale. “In un mondo che”….un mondo tutto italiano, dove tutto si ferma, anche il progresso civile. Oggi c’è un bellissimo articolo sul Corriere della Sera, dove si dice la corruzione si combatte dal basso. Ma aggiungo che oltre alle prescrizioni serve anche l’assunzione del farmaco giusto. Per curare questo paese in preda ad osteoporosi dei valori.
Brava Paola
Nel saggio di R. D. Putnam sulla storia civica delle (città) e province italiane, alla sua pubblicazione, ebbe un’eco molto ampia anche – e forse soprattutto – in ambienti non accademici. Il saggio fu pubblicato all’indomani della famosa inchiesta Mani Pulite che mostrava quanto la corruzione della politica fosse profonda e la ricerca di Putnam sembrava rispondere proprio all’esigenza politica di trovare una risposta alla domanda sulle ragioni della mancanza di virtù civiche in Italia e al cattivo il funzionamento delle istituzioni in molte regioni. Al centro della ricerca di Putnam stava il concetto di “civic-ness”, talvolta tradotto con “senso civico”. Secondo Putnam era (ed è) la mancanza di “civic-ness” a spiegare il mancato sviluppo: mi pare che le cose sìano cambiate poco. Non mi meraviglia, quindi, la solitudine del sindaco e il distacco sempre più marcaato della società civile. L’immobilismo di oggi cui parla Manduca nel suo puntuale articolo, è lo stesso del ’93 anno di uscita del libro.