Thomas Jay di Alessandra Libutti: le parole rendono liberi

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Benchè Thomas Jay sia stato dato alle stampe per la prima volta nel 2007 da una piccola casa editrice, Alessandra Libutti ha iniziato a lavorare al romanzo nel 1999. Già nella sua prima edizione in tempi non sospetti, quando era una piccola perla di un autore sconosciuto pubblicato da un editore sconosciuto, il romanzo ha ricevuto numerosi apprezzamenti dai lettori. Ora è stato ripubblicato da Fazi con una grande campagna promozionale (segno che l’editore ci crede) che è stata anche al centro di qualche polverosa – e a mio avviso esagerata – polemica.

Tra la prima pubblicazione nel 2007 e quella attuale cos’è accaduto a Thomas Jay? Qual è stato il percorso del romanzo?

Thomas Jay è stato vittima di un editore inesperto, con più ambizioni che capacità. Si mostrarono seri fino alla pubblicazione, poi i nodi vennero al pettine: il romanzo non raggiunse mai le librerie e ci volle parecchio perfino perché comparisse su IBS. Decisi di mettere a disposizione una copia per una catena di lettura su aNobii. Piacque e la gente cominciò a comprarlo e recensirlo. Fu un percorso lento, ma nel giro di due anni finì sullo scaffale di oltre 90 utenti di aNobii, guadagnando 60 commenti positivi e quasi altrettante recensioni in giro per la rete. Considerato che non aveva avuto promozione ed era acquistabile solo online fu un bel traguardo. E’ stato tramite la rete che è arrivato tra le mani di un editor di Fazi.

Tu vivi e lavori all’estero e – dettaglio non trascurabile – hai due bambini. Quanto ha pesato questo sul già faticoso percorso verso la pubblicazione? Ed è stato di ostacolo nell’iter di “lavorazione” con Fazi?

Vivere al’estero non è mai stato un ostacolo. Più faticoso è stato scrivere con i bambini, ma il lavoro su Thomas Jay è stato così diluito nel tempo che è risultato arduo solo per brevi periodi. Difficile fu la riscrittura per l’edizione di Neftasia perché il più piccolo aveva solo un anno e dormiva poco. Ricordo che a volte lavoravo alle tre, le quattro del mattino con lui in braccio. Vivevo con la borsa piena di post notes, magari ero a un parco, mi veniva in mente una frase e la scrivevo, quando i bambini dormivano tiravo fuori tutti gli appunti, li appiccicavo in giro per la stanza e via a scrivere. Quando l’ho ripreso in mano per l’edizione di Fazi, i bambini erano più grandi, in compenso lavoravo a tempo pieno. Ho fatto le ore piccole per alcune settimane. L’editing è stato facile, ce la siamo cavata in pochi giorni poco prima che andasse in stampa, lavorando per lo più al telefono.

Rispetto alla prima edizione, il Thomas Jay di Fazi presenta qualche cambiamento: ripensamento creativo o consiglio dell’editor?

Entrambi. Originariamente il romanzo era in quattro parti, due narrate da Thomas Jay e due da Ailie. Avrei voluto trasformarlo in un romanzo in prima persona già per l’edizione di Neftasia ma l’operazione mi riuscì solo in parte perché non trovai la chiave per il narratore unico. Così divenne un romanzo in tre parti, una specie di compromesso. La seconda parte raccontata da Ailie però funzionava meno delle altre due: stilisticamente era inferiore perché scritta molti anni prima, c’erano troppi dialoghi, inoltre non ero riuscita a far emergere il personaggio femminile come avrei voluto. Per questo quando gli editor di Fazi mi chiesero di riscriverla fui subito d’accordo. L’ostacolo maggiore è stato porre la seconda parte al di fuori dell’epistolario senza forzature. Invece che raccontare a Ailie, Thomas Jay racconta al lettore. Per farlo ho dovuto sacrificare molti dialoghi e gli aspetti più spigolosi del personaggio. Ma il risultato nel complesso mi soddisfa: è un romanzo più unitario, dove ogni personaggio trova la giusta dimensione.

Dopo Thomas Jay hai più scritto di narrativa? Se sì cosa? Se no, il buon risultato ottenuto ti ha dato nuovi stimoli per tornare a scrivere?

Non sono mai stata molto prolifica. Comunque tra le varie stesure di Thomas Jay ho scritto un racconto di un’ottantina di cartelle a cui tengo molto: un thriller surreale vagamente ispirato all’omicidio di via Poma. Il protagonista è intrappolato in una notte che si ripete all’infinito, in cui (forse) ha commesso un omicidio.  Anni fa lo feci giare per la rete e ricevette dei consensi, ma non è propriamente un romanzo, non so se verrà mai pubblicato.
Adesso ho in cantiere un nuovo romanzo, ma sono veramente ancora solo agli inizi.

Nel romanzo descrivi in maniera molto realistica il sistema carcerario americano dagli anni ’70 agli anni ’90. Da dove ti viene la conoscenza approfondita di quel mondo? Impegnativa ricerca? Visione di tanti, tanti film sull’argomento? Studi sul tema?

Direi un po’ tutte quante le cose insieme. All’inizio prevalentemente film, poi i romanzi. In seguito documentari, ricerche in rete, anche qualche email ad addetti ai lavori. Sono lontana però dall’avere acquisito una conoscenza approfondita del tema. Ho imparato abbastanza da rendere il personaggio credibile, ma ho cercato di tenermi lontana da un’ambientazione strettamente realistica. Ho puntato più sulle emozioni, sul “sentire” della prigionia.

Quali sono, se ne hai, i tuoi scrittori di riferimento?

I grandi classici in primis. Thomas Jay deve molto a Dostoevskij, Dickens, Proust, Kafka e Stendhal. Per un periodo sono stata molto affascinata dalla struttura dei romanzi di Milan Kundera, la concezione, l’impianto, il meta romanzo. Di Kundera è confluito molto poco in Thomas Jay, ma la riflessione sulla struttura è partita da lì. Tra gli italiani ho sempre prediletto Buzzati e Calvino, ma ho divorato Pratolini per la sua semplicità e poesia. Thomas Jay deve qualcosa anche a La Storia di Elsa Morante. La citazione di Kropotkin Le libertà non vengono date, si prendono! L’ho letta per la prima volta lì. Un altro libro importante è stato La natura non indifferente di Eisenstein. Lì ho trovato delle indicazioni precise sulla resa del pathos. Eisenstein le applicava al cinema, ma partiva dalla letteratura. La prima parte di Thomas Jay è costruita interamente attraverso la contrapposizione di opposti. Si trattava di avvicinare il lettore fin dalle prime battute. Infine ci sono Truffaut e Genet ai quali ho attinto per la biografia del protagonista.

 

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Carla Casazza

Carla Casazza ha fatto della scrittura la sua passione e lavoro.
Laureata in Pedagogia a indirizzo storico, ha insegnato per diversi anni.
Ha pubblicato alcuni libri sia di narrativa che di non-fiction.
Vive in Trentino.

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