La scuola ha appena suonato l’ultima campanella prima delle vacanze estive, ma non è un trillo di gioia: la riforma Gelmini le ha lasciato ferite aperte in tutto il territorio italiano. Anche se molti già pensano al mare e il governo Berlusconi è preoccupato di come fare a sopravvivere alle ultime batoste referendarie, sarebbe un errore permettersi di dimenticare cosa è accaduto e ancora sta accadendo in molti piccoli istituti scolastici locali grazie ai tagli governativi voluti da Giulio Tremonti per la scuola.
A Gavoi, cuore geografico della Sardegna e territorio a bassissima densità di popolazione, solo la resistenza strenua di docenti e studenti ha consentito al comprensorio scolastico di restare aperto e continuare a fornire istruzione e formazione ai ragazzi della Barbagia, altrimenti costretti a spostarsi di molti chilometri per poter proseguire gli studi o più probabilmente a non spostarsi affatto, finendo a rimpinguare le cifre dell’abbandono scolastico che sull’isola sono altissime. Il criterio del numero minimo di frequentanti sta minacciando anche territori a grande densità di popolazione come la Brianza, per esempio a Monticello in provincia di Lecco, dove gli studenti del liceo classico Villa Greppi sono da poco venuti a conoscenza del fatto che quando la scuola a settembre riaprirà le porte il loro indirizzo di studio non esisterà più, perché anziché essere 30 allievi – 15 per classe come impone la riforma – sono appena 29. Così per sopprimere le cattedre scompaiono le opportunità di imparare e si abbassa l’accessibilità allo studio proprio in territori dove il richiamo di sirena delle imprese locali in penuria di manodopera convince già oggi molti giovanissimi ad abbandonare lo studio dopo l’obbligo. Che tanto studiare non serve. Che fai meglio a imparare un lavoro. Che di cultura non si mangia, figuriamoci quella che si insegna in un liceo classico. La politica della scuola utile ha fatto passare l’idea che l’istruzione serva a lavorare, non a capire. Immaginare cittadini dotati di strumenti per comprendere il mondo sembra diventato un costo insostenibile per un’Italia che non sa più immaginare il suo futuro. Offrire ai giovani meno cultura, meno scuole e meno possibilità di istruirsi non significa motivarli a lavorare prima – come vaneggia il ministro Gelmini – ma generare una classe sociale nuova e pericolosa, priva di strumenti per decodificare il mondo e quindi senza nessuna possibilità di cambiarlo per renderlo più a misura propria. Affamare la scuola, applicarle criteri aziendalisti di efficientismo numerico e disincentivarne la frequentazione chiudendo gli indirizzi o spostandoli lontano diminuirà forse la spesa sociale, ma farà sorgere una schiatta di cittadini disarmati davanti alla realtà, il sogno segreto di ogni dittatura.
Michela Murgia per Saturno 16 Giugno
Non penso che MM voglia dare lezioni a chicchessia e, temo, lei faccia male a sospettarlo. Convengo con l’autrice con il pericolo di desertificazione dell’istruzione. In Sardegna in particolare proprio per le ragioni che adduce. Immagino, tuttavia, che MM non abbia bisogno di difese d’ufficio.
mg
Non è che la Murgia si è già montata la testa e intende insegnare a Tremonti la difficile arte di far quadrare il
bilancio pubblico. Spero proprio di no.
alph kam