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Ognuno di noi ha un posto speciale, che ha quel non so che, quella sensazione indefinibile che percepiamo esserci subito affine, che ci fa stare bene, in cui ci si sente a casa. Può essere casa propria, a casa di amici, può essere la sensazione di quando ci sediamo sotto un particolare albero in un parco, o può essere, come nel mio caso, la Basilica di San Pietro nella città eterna.
Me ne sono accorta sia per la percezione della differente densità dell’aria appena varcata la soglia, che dalla sensazione di familiarità che ho provato la primissima volta in cui ci sono entrata da bambina come di esserci già stata mille e mille volte. Non saprei descrivervelo meglio di così. Della magnificenza di questa basilica non mi basterebbero mille e mille pagine di descrizione, senza parlare di quanta bellezza contiene, sia spirituale che materiale.
E di bellezza parla anche questo libro di Jean-Baptiste Andrea: la bellezza spirituale dell’amicizia e dell’amore che la lambisce, della bellezza di un talento imprigionato in un uomo dal piccolo corpo, del riscatto, della bellezza materiale della capacità di svelare il bello che un blocco di marmo già contiene dentro di sé.
Michelangelo Vitaliani, detto Mimo, apprende i rudimenti della lavorazione del marmo dal padre scultore e viene affidato dopo la sua morte allo “zio” Alberto che accetta controvoglia di prenderlo come apprendista nel suo atelier di scultura a Torino. Quando però il lavoro inizia a scarseggiare, grazie ai soldi della madre, Alberto compra un piccolo atelier in Liguria, a Pietra d’Alba, e vi si trasferisce insieme a Mimo. Qui vivono gli Orsini, una potente e ricca famiglia e conosce Viola, la figlia più piccola, con cui intreccia una profonda e particolare amicizia.
Il grande talento di Mimo inizia ad emergere, e la sua carriera sarà per sempre legata sia alla vita di Viola sia all’influenza della famiglia Orsini, sia al Vaticano, e raggiungerà il suo apice quando Mussolini arriverà al potere.
Ma le opere di Mimo si differenziano non solo per la sua bravura, ma anche per l’originalità in cui coglie i suoi soggetti che scolpisce nel marmo.
Devo a mio padre uno dei consigli più validi che abbia mai ricevuto: “Immagina la tua opera finita che si anima. Che cosa farà? Devi immaginare cosa accadrà l’istante dopo in cui tu l’hai colta, e suggerirlo. Una scultura è un annuncio”.
Ed è proprio questo che a Mimo riesce così bene: imprimere la vita in un blocco di marmo, ma il suo talento e i suoi soggetti generano scalpore e curiosità tanto che verrà sommerso da richieste di lavoro e commesse, finché gli viene affidata la creazione di una Pietà.
“Devo a mio padre la mia audacia con lo scalpello. Mi ha insegnato a tener conto della collocazione finale di un’opera. E della luce. Michelangelo Buonarroti aveva levigato all’infinito la sua Pietà per catturare il minimo sfavillio di luce, sapendo che sarebbe stata esposta in un luogo buio”.
Varcata la soglia del libro, siamo al capezzale di Mimo, che giace morente nell’abbazia che è stata la sua casa negli ultimi quarant’anni della sua lunga vita, impegnato a vegliare su di lei, sulla sua Pietà. Scorrendo la storia veniamo a sapere che il Vaticano sta indagando sulla Pietà Vitaliani, come viene chiamata. Un mistero che percorre tutte le oltre quattrocento bellissime pagine del libro, e che si dipana solo nelle ultime pagine.
“In esergo alla monografia che le ha dedicato, Leonard B.Williams dichiara che la Pietà Vitaliani si appresta, al pari dell’anello di Salomone, dell’arca dell’alleanza e della pietra filosofale, a entrare nel novero degli oggetti avvolti da un’aura mitologica ed esoterica, sottratto allo sguardo dei mortali, la cui fama è alimentata proprio dal fatto che nessuno li ha mai visti. E non manca di sottolineare l’ironia, giacchè è l’esatto contrario di quel che si proponeva il Vaticano seppellendola nel cuore di una montagna. L’intento era semplicemente quello di evitare uno scandalo, di comprendere la causa delle strane reazioni che l’opera suscitava. Secondo Williams, affidare la Pietà alla custodia della Sacra e dei suoi monaci era un errore.
Prima di passare a parlare dell’isteria che accolse le prime apparizioni della Pietà, Williams dedica una breve pagina alla sua descrizione. La Pietà Vitaliani presenta numerose analogie con la sua illustre antenata, quella di Michelangelo Buonarroti, esposta nella Basilica di San Pietro a Roma. A differenza dell’altra, però, la Pietà Vitaliani non sembra essere stata pensata per essere esposta in alto. Vitaliani non cerca di rendere bello il suo Cristo. Dall’opera si sprigiona una sconcertante impressione di movimento, ancora una volta in contrasto con lo stile ieratico del Buonarroti. Impressione niente affatto metaforica: molti spettatori, dopo averla fissata a lungo, hanno giurato di averla vista muoversi”.
Sarà che questo libro parla di arte e di amore, quelli che non hanno solo la A maiuscola, parla di giocare al meglio la partita della nosta vita con le carte che ci ha dato la sorte, sarà che vivere agendo il nostro talento, qualunque esso sia, è un pilastro su cui poso la mia intera vita; sarà che questo libro parla di una delle più belle opere che l’uomo abbia creato e che si trova proprio nel mio posto speciale, sarà che è un libro ben scritto, sarà che la storia è coinvolgente e ricca di tanto, insomma, Vegliare su di lei è uno dei libri più belli che io abbia letto sino ad oggi.
E ve lo consiglio proprio per tutti questi sarà.
Marina Andruccioli
ll libro:
Jean-Baptiste Andrea,
Vegliare su di lei,
La Nave di Teseo,
ed.2024, pp.480
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