Cos’altro dire di questo straordinario testimone del secolo? Quali parole usare per raccontare la sua indimenticabile voce, il suo enorme talento, la sua monumentale reputazione di artista? Poco. Davvero molto poco. Su Ray Charles molti, meglio di me, hanno saputo raccontare di come abbia aperto la strada alla musica “soul”, nata sperimentando la fusione dei generi Rhythm & blues, gospel, e blues. Le sue registrazioni sono tutte, e dico tutte, magnifiche e sempre caratterizzate dalle sue grida e urlate che hanno pervaso la cultura musicale di tutto il mondo.
Come la stragrande maggioranza degli artisti di cui mi sono occupata fin qui, anche Ray Charles Robinson ha cominciato giovanissimo. Nato il 23 Settembre 1930, ad Albany, in Georgia (dice niente?), suo padre, un meccanico, e sua madre, trasferirono la famiglia in Florida quando era ancora un bambino. Per fame. Uno degli eventi più traumatici della sua infanzia fu’ la morte per annegamento del fratello minore. Poco dopo la morte di suo fratello a causa di un glaucoma perse, poco alla volta, la vista. Una tragedia. Era già cieco all’età di 7 anni; sua madre lo iscrisse al San Augustine: una scuola della Florida per non udenti e non vedenti , dove imparò a leggere e scrivere la musica in Braille. Imparò pure a suonare il pianoforte, l’organo,il sax, il clarinetto e la tromba. L’ampiezza dei suoi interessi musicali crebbe a dismisura: dal gospel, al blues, al jazz vero e proprio. A soli 16 anni, si trasferisce a Seattle nel cui quartiere a luci rosse incontra un giovane Quincy Jones, un’altro mito della musica, amico e collaboratore rimasto tale per il resto della sua vita. Nel giro di qualche anno firma per l’Atlantic Records e nel 1953, celebra il suo primo singolo “Mess Around”. “I Got a woman” è di un paio di anni dopo: il successo è enorme. Diventa universalmente noto come un grande del R&B. Nella sua musica si sente chiaramente influenza di Nat King Cole, ma il suo stile diviene presto unico: il soul, appunto.Molti lo hanno chiamato “the Genius” e qualcosa di vero c’era fin da allora. Se “What’d I say” è considerata una delle più belle canzoni di sempre, non è un caso. Prima di essa, “Georgia on my mind”, contribuì a far conoscere Ray Charles in ogni angolo del pianeta. E’ un brano che è andato oltre la sua vita e che moltissimi, me compresa, ascoltano con immutato amore ogni volta.
Il mio due di coppia suggerisce quella volta che a San Remo cantò con un tizio sceso non so’ da quale borgata. Si chiama… ehm, ah!si!,…Toto Cotugno. Beh!, la verità è che cantavano due canzoni diverse. Vuoi mettere un mostro sacro come Ray Charles con un poveraccio come il nostro? La canzone, “Gli amori”, valse il secondo posto. Fu il giorno più bello della sua vita (quella del nostro, s’intende), dopodichè è tornato da dove era venuto. Per dire: ogni scarafone è bello a mamma sua.
Uno degli aspetti che non conoscevo della sua vita, è stata la dipendenza da droghe cui ha sofferto. Ho letto su diverse fonti anche di suoi arresti per possesso di eroina e in un caso ha evitato per un soffio la galera. Non ho capito come un gigante di questa portata potesse essere afflitto da questa miseria. Il corpo di Ray Charles si è arreso al cancro ma ha regalato all’umanità la sua voce e le sue canzoni che sopravvivono alla sua assenza. Ill mondo gliene sarà grato per sempre. Il brano che vi regalo è, naturalmente “Georgia in my mind”. Sedetevi per favore e dedicatevi qualche minuto in Paradiso. Alla prossima.
I libri
Ancora una volta Minimum Fax. Una delle poche certezze della vita. L’aubiografia pubblicata ha il titolo di Brother Ray.