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Podcast. Tributo a Donna Summer

fotoInterrompo le faticose faccende di casa per il dovuto tributo a Donna Summer, scomparsa qualche giorno fa a 63 anni. Le brutte notizie, amici miei, quest’anno non mancano. Chiedo a Qualcuno lassù un pò di tregua.
Troppo giovane per essere la mia musica, ma gli echi di “Love to Love You Baby”, con i suoi gemiti, il primo successo estivo del ’75 (!) e uno dei brani più scandalosi mai incisi sul poliestere, sono arrivati fino alla mia età da adulta. La canzone fu in seguito mixata da decine di interpreti e ballata da più di una generazione, me compresa.

Podcast. Sandra Nkakè. I destini immaginari e quelli reali s’incrociano

fotoUna delle cose che mi farà sempre arrabbiare moltissimo della mia scomparsa, sarà sempre la rinuncia a prestare l’orecchio alle cose che il mondo ha da dire. Non mi riferisco solo alla letteratura naturalmente, ma soprattutto alla musica senza la quale nessun essere umano è in grado di aprirsi la propria strada sulla terra. E’ il caso della scoperta della cantante che vi propongo oggi.
Sandra Nkaké è una cantante-cantautrice-compositrice che è cresciuta tra Yaoundé (Cameroun) e Parigi. E’ rimbalzata avanti e indietro sulla base di queste due diverse culture e climi, e si è confrontata con la maggior parte avversa dei codici sociali che queste culture le hanno offerto. Cinema, letteratura e musica sono diventate le sue fonti primarie di rifugio.

Podcast. Smooth jazz, vol.1: Grover Washington jr.

Una sera di qualche tempo fa, mentre parlavamo di musica, a cena con degli amici, ho chiesto al mio due di coppia di raccontare quella volta che al Blues Halley di Georgetown nel ’88 si mise in ginocchio davanti ad un sassofonista. I suoi racconti hanno sempre l’effetto saporifero di una fiaba che si legge ai bambini per farli addormentare; corsi il rischio sapendo però che il suo amore per il jazz avrebbe potuto rianimare una serata piuttosto moscia. Raccontò che, guidato dalla Lonely Planet, alla ricerca di un locale dove ascoltare musica, capitò di imbattersi in questo locale e riconoscere l’autore di un paio di dischi già in suo possesso. Entrò mentre il tizio suonava Winelight. Alla fine del concerto gli si avvicinò e, non so con quale inglese si espresse, gli raccontò da dove veniva, del viaggio e della fortuna di averlo trovato per caso. La foto-polaroid, decisamente vecchia a guardarla oggi, suggellò l’incontro: la conserva come un cimelio. Per la cronaca: a fine racconto, metà delle persone si erano addormentate sul tavolo.

etta james ©unknow

Podcast. La storia la fanno le donne parte 3: Etta James

Quando un mese e mezzo fa il mio due di coppia mi ha dato la notizia della sua morte, mi sono sentita come di una perdita personale. Lui ha usato una certa delicatezza a dirmelo sapendo che l’avrei presa molto male: è  andata così.  Etta James è stata, a giusta ragione, considerata una delle voci più importanti del secolo scorso. La signora del blues è morta a pochi giorni dal suo 73mo compleanno e, ironia della sorte, quasi in contemporanea con il suo maestro Otis Regis scomparso a 90 anni.

Podcast. I cento anni di Gil Evans

Ian Ernest Gilmor Green, detto Gil Evans, nato casualmente a Toronto, nel 1912. da padre sconosciuto e da una ragazza madre scozzese-irlandese (che girava il mondo come ragazza alla pari/governante), resta una delle figure più incomprese della storia del jazz. Largamente autodidatta, apparve all’improvviso sulla scena newyorchese del jazz nei primi anni quaranta, ma aveva alle spalle già una lunga attività di capo-orchestra e un mestiere affinato in duri anni di apprendistato in California, nel corso di una carriera che spesso e volentieri si era intersecata con quella di un suo celebre coetaneo Stan Keaton (che invece aveva esordito come pianista proprio in una delle orchestre di Evans).

Podcast. Tributo a Whitney Houston

La sua voce sembra essere quasi sospesa, una breve pausa di silenzio che è un tutt’uno con le note di prima e di dopo. E’ “I will always love you”, la canzone con la quale Whitney Houston sarà ricordata per sempre. Se non l’avete ascoltato prima quel silenzio, tornate indietro e ascoltatelo; si tratta di “buco” seguito dalle parole: la “I” (io) all’inizio del ritornello e “you” (tu) alla fine, tenute a bada quasi a fil di voce con una lunghezza di tono superiore a qualsiasi altro/a cantante abbia mai provato a sostenerle. Lei con un controllo pazzesco della voce canta quelle sillabe una ad una che da sole valgono un Grammy. Canta le parole in modo diverso da tutto il resto; in un primo momento è con amore, poi con convinzione, poi con disperazione. Un dramma che dura quattro minuti. L’esplosione che ha trasformato una storia d’amore in una storia di solitudine. Whitney Houston sapeva di avere una voce.

Podcast. Come il jazz può salvarvi la vita. Parte tre: Charlie Haden

Charlie Haden – contrabassista, compositore, bandleader e artista dotato di coscienza politica – è davvero un musicista di potere immaginativo, un “poeta” del contrabbasso che ha contribuito con il suo virtuosismo alla produzione di molti dei dischi più interessanti del jazz.
Come una parte vitale della rivoluzione jazz iniziata dal suo mentore, Ornette Coleman , dirige il suo gruppo e attraverso la sua musica, comunica il suo animo profondo con un suono ricchissimo che riflette una sensibilità profonda alla musica e alla vita.

Podcast. John Mayall: quando il Blues suona, il silenzio si impone

Quando il Blues suona, il silenzio si impone. Non lo dico certo per emozioni personali. Non lo dico perché il Blues è il primo amico nei momenti di sofferenza e il primo a scuoterti nei momenti di esaltazione… No. Lo dico perché quando il Blues ha l’opportunità di far uscire tutte le potenzialità dei musicisti, ci troviamo immersi in un miscuglio di suoni di chitarra, piano,fiati, batteria e armonica irraggiungibile. Troviamo la massima espressione della musica Pop / Rock, perché possono suonarla solo degli strumentisti con le p…  e, perché non lascia spazio alla retorica nei testi, perché la voce è sempre al massimo della sua espressione: non è possibile cioè sviare grazie a mezzi e mezzucci dalla qualità. E dall’improvvisazione, dal groove, dal mood della band: un Blues si fa anche al momento, e si improvvisa, si innescano alchimie particolari. E’ per questo che John Mayall, con questo e altri dischi, è uno dei pochi bianchi che dopo il periodo florido dei bluesmen neri d’America, è riuscito a portare avanti una musica che altrimenti sarebbe vissuta solo in quei vecchi long playing.

Podcast. Marvin Gaye. Signore e Signori parliamo di soul.

Scrivendo il precedente articolo mi sono ricordata, a proposito di “groove”, di un’altro artista memorabile, anche se avevo promesso di parlarne più avanti. Mi piace parlarne, però, perché Marvin Gaye è stato davvero un grande. Profonda fede religiosa e la raffinatissima sensibilità furono le molle che spinsero Marvin Perez Gay (la “e” fu poi aggiunta per evitare qualsiasi comprensibile equivoco) a dedicarsi alla musica. Nato a Washington D.C., figlio di un pastore apostolico, durante le sue celebrazioni capì cosa veramente significasse “l’essenziale gioia della musica”, come un volta ricordò. Ancora di più di altri giganti del soul, Marvin Gaye è stato forse il più emblematico degli artisti che hanno incarnato l’essenza della soul music.