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Alcuni jazzisti sono stati considerati degli alieni per tutta la durata della loro carriera. Pur suonando buona musica e presentandosi al pubblico regolarmente, non hanno mai fatto parte di varie consorterie musicali nè, tanto meno, appartenendo a gruppi di “influencer” di quelli cioè, che se la tirano esprimendo giudizi e opinioni sugli altri. No, questa gente ha fatto il proprio mestiere quasi in silenzio, quasi come un qualsiasi altro operaio che si alza presto la mattina per prendere il bus per la fabbrica.
Prendete ad esempio un tizio di nome Jackie McLean (al secolo John Lenwood McLean): un onesto straordinario uomo di musica e passato silenziosamente sugli scaffali dei negozi di dischi, su you tube si trova poca roba, e lo si ascolta di rado nella filodiffusione cosi come in radio, compresi i programmi che si occupano di jazz. Niente. Deserto assoluto.
Lui non si è mai considerato un innovatore è stato tuttavia apprezzato e considerato dai suoi contemporanei con vari attestati d stima. Di sicuro è un individualista del sax contralto (lo strumento preferito in assoluto dal mio due di coppia). E’ cresciuto in un “laboratorio” del jazz moderno e prima di avere vent’anni poteva contare sull’amicizia e sodalizio di alcuni personaggi come Sonny Rollins con cui aveva fatto le scuole, di Bud Powel con cui aveva studiato durante i suoi 17 anni, a Charlie Parker che, a 18, lo elesse suo pupillo. A 19 anni dava consigli a Miles Davis sulla moda della East Cost. Prima dei 25 anni era già considerato l’erede di Charlie Parker. Ha fatto una gavetta e norme e suonato con tutti i grandi; oltre quelli già citati ci sono collaborazioni con Miles stesso, Telonius Monk, Charlie Mingus, Art Bakey e una infinità di altri jazzisti moderni di grande livello.
La droga, tuttavia, gli ha tolto tanto. A NY, negli anni sessanta, l’eroina ha fatto strada tra i jazzisti molto più velocemente di quando non ne facesse in quartieri tipo Harlem, tanto da togliergli la “cabaret card” una sorta di “credenziale del pellegrino” (sono in tema con il prossimo pellegrinaggio del mio due di coppia a Santiago di Compostela) che consentiva ai musicisti di suonare nei locali e guadagnare quattrini oltre che essere il migliore viatico per far conoscere la propria musica e vendere i dischi. Era successo nel ’57 quando, andato a casa di uno spacciatore a comprare l’eroina, c’era stata una irruzione della polizia che lo arrestò. Successe allora che perse il diritto di suonare nei locali colpa una legge residuale del Proibizionismo che metteva assieme i divieti… d’uso di droga e alcool. Ma, mentre la mescita degli alcolici era diventata, nel frattempo legale, quella della droga, ovviamente, no. C’è stata anche la galera per Jackie. Fu quando tornò da una tournee in Giappone – una fantastica esperienza che aveva lasciato il segno con tutta la sua carica di emozione – con un gruppo composto da altri personaggioni del tempo tipo: Reggie Workman al contrabbasso, Benny Golson al sax tenore, Cedar Walton al piano e il batterista Roy Haynes. Appena rimesso piede a NYC perse una causa in appello in tribunale, che gli costò sei mesi di detenzione per detenzione e spaccio di eroina. Roba brutta la prigione; che lascia i segni.
La Blue Note, a seguito del cambiamento di gestione, pose fine al suo contratto nel 1967 (come fece in quegli anni con molti altri artisti d’avanguardia). Le prospettive di nuove registrazioni erano talmente poche e malpagate che preferì dedicarsi interamente ai concerti e all’insegnamento, che iniziò nel 1968 alla The Hart School della prestigiosa University of Hartford (Connecticut). Negli anni successivi, egli avrebbe creato il Dipartimento di Musica Afroamerican (ora chiamato “Jackie McLean Institute of Jazz”) e l’intero programma di studi Jazz.
La redenzione è venuta con la nascita della sua famiglia. Nel 1970, con la moglie Dollie, fondò ad Hartford il gruppo Artists’ Collective, Inc. dedicato alla conservazione delle tradizioni africane negli Stati Uniti, promuovendo e realizzando programmi di istruzione nella danza tradizionale, il teatro, la musica e le arti visuali. Nel 2001, gli fu riconosciuto l'”American Jazz Masters fellowship” del National Endowment for the Arts.
Questo grande artista è mancato dopo lunga malattia ad Hartford, il 31 marzo 2006. Suo figlio René è un sassofonista e flautista jazz e insegna musica.
Dalla collezione di casa, consigli per gli acquisti
Destination Out e Nature boy. Belli dall’inizio alla fine. Fidatevi. Da YouTube, invece, Moonscape. Buon ascolto e alla prossima. fs
I libri
Da leggere quello di Spellman da Minimum Fax. Si chiama: Quattro vite in jazz e una di quelle è quella del nostro eroe.