Livio Romano, Niente da perdere

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copertinaLivio Romano ha scritto qualche tempo fa ( non ricordo più dove lo abbia scritto, figurarsi) che fare letteratura è come mettere un paio di occhiali. Conta la montatura attraverso cui guardare la realtà. I miopi, soprattutto, ma forse anche gli astigmatici, potranno capire meglio. Sta tutto lì.
Così ne ha inforcato un paio nuovo di zecca, oggi, per raccontare un trentacinquenne, tal Gregorio Parigino, alle prese con un’esistenza frenetica fatta di lavoro, parenti, donne, ricordi e medicine (tranne le ultime, ma solo da poco tempo, sembra il ritratto di un direttore di libreria che conosco). Un uomo che impara gradualmente a guardare la sua vita da lontano e a ritrovarne il senso concreto, tangibile, terreno proprio in quel bailamme, che, girandogli vorticosamente intorno e ancorandolo al suolo, gli impedisce di perdersi e gli consente di conservare la misura esatta del suo tempo.

Emmanuel Carrère, La vita come un romanzo russo

I libri di Carrere pongono sempre più di qualche difficoltà. Sia nel definirli, sia nel recensirli. E forse questa è la dimostrazione che ci si trova dinanzi a uno scrittore quantomeno complesso. C’è sempre, tra le sue righe, come una fastidiosa musica di sottofondo. E non si riesce mai a capire se sia la storia o un personaggio o l’atmosfera tutta del libro. Vi ricordate la “Settimana bianca” o “L’avversario”? Fin dalle prime pagine, senza bisogno di sapere come proseguisse la storia, si veniva sommersi da un senso di disagio, quasi di freddo.

Claudio Rigon, I fogli del capitano Michel

Tutto parte da una scoperta nell’archivio del Museo del Risorgimento di Vicenza. Claudio Rigon è un appassionato di fotografia e, vagabondando per l’Altipiano di Asiago con una macchina fotografica e un cavalletto, si sente attratto dall’atmosfera di Monte Ortigara, “da quel territorio particolare che comincia con il suo crinale e si estende poi a sud-ovest per un’ora di cammino, fino ai piedi di Cima Dodici.”

Incontra rovine, resti di baraccamenti, trincee, in un paesaggio che in certi momenti sembra ancora il dopo di una battaglia.

Giulio Mozzi, Sono l’ultimo a scendere

Non è facile scrivere un blog. Soprattutto non è facile scriverci tutti i giorni in maniera interessante e originale stabilendo un dialogo con i propri lettori, non forzando la mano e rispettando le opinioni altrui. Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili) di Giulio Mozzi è una sorta di “diario pubblico” (secondo la definizione dell’autore) tratto dal blog dello scrittore padovano, uno dei primi autori italiani ad aver utilizzato il web per comunicare dimostrando di saperci fare. E bene.

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Roberto Perrone, La ballata dell’amore salato

{jcomments on}Una donna, un tradimento e una città, Genova, sempre protagonista Storia di un uomo forte, sicuro di sé ma, come ciascuno di noi, non al riparo dalla vita cone le sorprese che spazzano le certezze. Genova. Una fredda domenica di novembre. Girolamo Murgia sta aspettando l’arrivo di suo figlio da Milano. Devono mangiare presto perché quella domenica c’è il derby e Girolamo deve seguire il Genoa, l’unica delle sue tre passioni sopravvissuta al tempo. Le altre erano la moglie e il ballo. Ma la moglie è morta da un anno e il ballo non gli interessa più.

Vasilij Grossman, Storia e destino

Un romanzo che sembrava irrimediabilmente perso, ma che è stato ritrovato. Una storia talmente affascinante e avventurosa che lo scrittore voleva fosse come “Guerra e pace”, un romanzo corale in cui i veri protagonisti sono gli umili, che in queste pagine cercheranno di cambiare il loro destino. “Vita e destino” di Vasilij Grossman doveva avere come titolo “Stalingrado”, ma cambierà in “Per una giusta causa” dopo la prima redazione. Sarà pubblicato in fascicoli nel 1952 sempre con questo nuovo titolo che intendeva assecondare le autorità e quindi ovviare alla censura. Nel 1953 muore Stalin, “senza che ciò fosse pianificato”, commenta in modo beffardo Grossman, che finirà un secondo volume sulla battaglia di Stalingrado.

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Emanuele Tonon, il Nemico

copertinaÈ un libro in cui si racconta da una parte il rapporto con il padre, la vita e soprattutto la morte di un padre operaio, dall’altra invece della vita di coppia narrata fino a una fine inesorabile. Un romanzo estremamente duro, una denuncia della condizione operaia, il cui asse portante è di carattere teologico, una riflessione sul posto di Dio nel mondo. Un Dio però impotente di fronte alla sua creazione.
“Viviamo in un’ epoca di Dio e di dolore, il mondo oggi sembra essere stirato con forza sotto l’azione del dolore”, scriveva Kazoh Kitamori, eminente teologo luterano giapponese. Il Dio di questo libro non salva, è un Dio che dovremmo amare, ma che ci ha stancati, delusi, reso infelici.