Il viaggiatore incantato di Nikolaj Semënovič Leskov (Gorohovo, 16 febbraio 1831 – San Pietroburgo, 5 marzo 1895) è una girandola di avventure e sventure improbabili raccontate dal protagonista a un pubblico che viaggia su un battello sul lago Ladoga.
Leskov è uno dei maestri del racconto breve nella letteratura russa e ha scritto un prodigioso numero di racconti in una grande varietà di generi.
Scrittori come Tolstoj, Dostoevskij e Maxim Gorky ammiravano la sua capacità di raccontare storie e il sapore tipicamente russo della sua scrittura.
In questo libro il narratore-viaggiatore con i suoi racconti affascina attraverso descrizioni di personaggi e luoghi di bassa estrazione in cui zingari e vagabondi interagiscono con padroni e mercanti senza alcun distacco sociale. L’intera vicenda narrata è spesso paradossale, ma proprio per questo incanta.
Gran parte del fascino del libro risiede nel fatto che a chi legge viene espressamente chiesto di rinunciare alla trama e all’empatia con i personaggi “veri”, per sottomettersi invece alla logica del narratore che sa a memoria quello che sta per raccontare.
Come scrisse Walter Benjamin, Leskov fu un grande esponente nell’arte seducente e meravigliosa del racconto. Un’arte che poggia sempre su storie che escludono le spiegazioni psicologiche delle azioni dei personaggi proprio perché è proprio l’assenza di spiegazione che libera la fantasia.
Dalla prima all’ultima frase, è come se tutto il libro fosse un unico respiro: sembra quasi la trascrizione di un racconto orale della traduzione popolare.
In vita Leskòv venne criticato per l’uso della lingua popolaresca, accusato di “rozzezza” e “grossolanità” e di questo se ne fece un vanto.
Io non uso una lingua falsa, disse, ma quella raccolta e assimilata incontrando molte persone, una lingua fatta di “parole, proverbi, singole espressioni, colte al volo tra la folla, sulle barche, tra le reclute militari e nei monasteri”.
Da rileggere, assolutamente.