“Fellini, Antonioni, Monicelli. Nel cinema italiano di oggi non è rimasto niente di questi grandi maestri”. Non ha dubbi Goffredo Fofi, critico cinematografico e memoria storica della settima arte dalla seconda metà del ‘900 a oggi. “Non direi che ci sono colpe specifiche, quanto piuttosto un disastro organizzativo, politico, umano. I tempi sono cambiati e il cinema non ha più il ruolo centrale che aveva negli anni ’70. Se siamo ridotti così è colpa della televisione, che ha impoverito il cinema, costringendolo ad adeguarsi ai suoi bassi standard”.
Fofi, che giovedì scorso (22 agosto) è stato ospite del festival per un incontro di parola tutto dedicato al ricordo di Federico Fellini a vent’anni dalla sua morte e organizzato in collaborazione conIl Circolo dei lettori di Torino, ha avuto un rapporto intenso e particolare con lui: “Fellini non era un semplice regista ma un antropologo. Film come Amarcord e Roma sono ritratti sociologici dell’Italietta provinciale del tempo, una realtà ormai dimenticata”.
Dopo il Fellini regista, Fofi parla anche del Fellini uomo: “Lo conobbi durante le riprese di Roma. Anche se lo attaccavo ferocemente gli stavo simpatico, visto che trovava le mie critiche molto stimolanti. Negli ultimi anni della sua vita era diventato un uomo molto amaro, tormentato da un mercato e da un pubblico che non volevano più i suoi film”.
“Quando morì – ricorda il critico – tutta l’Italia, persino il presidente della Repubblica, pianse la sua scomparsa, salutandolo come un Michelangelo o un Raffaello. Un atteggiamento ipocrita, visto che fino al giorno prima nessuno si ricordava di lui”.
Oltre che contro il cinema nostrano, Fofi si scaglia anche contro la critica: “In Italia la critica vera non esiste più. Tanti anni fa era anche piacevole litigare coi registi e con i lettori: si formava un triangolo magico dal quale si potevano tirare fuori cose positive. Oggi ci si divide tra accademici che fanno ‘autopsie’ di cose già vecchie e giornalisti/informatori/pubblicitari che si limitano a fare una cronaca. Una volta i giornali erano un luogo di dibattito – conclude -, ora sono tutti servi di qualche padrone. L’unico rimasto è Mereghetti”.