Joshua Ferris ha vissuto a Key West in Florida ed è stato lì che, da bambino, ha iniziato a scrivere storie alla Alfred Hitchcock.
Al College ha iniziato nuovamente a scrivere racconti, imitando però autori come Nabokov o Barthelme.
Prima di iniziare il suo “Master in scrittura creativa” all’Università della California, Ferris ha vissuto per alcuni anni a Chicago, dove ha lavorato in un’agenzia di pubblicità come copywriter, un mestiere che, come scrittore, lo ha aiutato a tirar fuori diversa “zavorra”…
In agenzia ci ha lavorato tre anni e per questo motivo ha pensato di limitarsi a scrivere ciò che conosceva bene.
Un’agenzia pubblicitaria di Chicago è anche la cornice del suo romanzo d’esordio: “E poi siamo arrivati alla fine” (2007), edito in Italia da Guanda. Un romanzo difficile da dimenticare per il modo in cui è scritto come per le storie che contiene.
Scritto in prima persona plurale, ironico, vitale e vibrante, tratta in modo cupamente umoristico della superficialità della moderna vita aziendale.
Con un tono spesso emotivamente impegnativo, a volte assurdo e spesso divertente.
Una spassosa riflessione sulla creatività e sull’intraprendenza, uno straziante e surreale ritratto della società americana di oggi.
Tradotto in 25 lingue, il romanzo è stato finalista per il National Book Award e ha vinto il PEN della Hemingway Foundation.
Altri suoi racconti sono stati pubblicati, tra gli altri, nel New Yorker (che comprendeva anche Ferris nel loro “20 Under 40″, l’elenco degli autori giovani più promettenti) e nel Guardian, oltre che nelle antologie American Voices nel 2007 e in Nuove Storie dal Sud.
Joshua Ferris, E poi siamo arrivati alla fine, 2006, 398 p., brossura, traduzione di K. Bagnoli, Neri Pozza (collana Bloom).