“Natasha” segna il debutto letterario di David Bezmozgis, nato a Riga, in Lettonia, ma emigrato in Canada (nell’esodo degli ebrei sovietici) con la sua famiglia quando aveva sei anni.
La sua è una scrittura invitante e calda che ricorda Babel, Roth, Saul Bellow. Eppure Bezmozgis, con dolorosa onestà, rende i personaggi di questi sue storie irresistibilmente originali.
Quella di “Natasha” è una meravigliosa collezione di sette racconti autobiografici in parte relativa a una famiglia di immigrati ebrei lettoni a Toronto nei primi anni ’80.
Roman Berman, il patriarca, è un ex allenatore sovietico che aspira a un posto di massaggiatore in Canada. Suo figlio Mark fa la prima elementare e cresce nel corso delle sette storie (è però un osservatore, non un protagonista) affrontando la dolorosa integrazione nella cultura americana del Nord.
Come Gogol, Bezmozgis è ben consapevole dei difetti dei suoi personaggi e scrive con compassione ricordandoci come la bellezza sia spesso nascosta nell’imperfezione umana.
Sono racconti che uniscono malinconia e speranza e ci spiegano con uno stile asciutto e sobrio che cosa significa crescere in un mondo in continuo cambiamento.
Un esordio effervescente che descrive insicurezze e solitudini, una storia familiare abbagliante, divertente, esuberante, incantevolmente comica.
David Bezmozgis, Natasha, 2005, 152 p., brossura, traduzione di C. Piazzetta, Guanda (collana Narratori della Fenice).