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Podcast. John Mayall: quando il Blues suona, il silenzio si impone

Quando il Blues suona, il silenzio si impone. Non lo dico certo per emozioni personali. Non lo dico perché il Blues è il primo amico nei momenti di sofferenza e il primo a scuoterti nei momenti di esaltazione… No. Lo dico perché quando il Blues ha l’opportunità di far uscire tutte le potenzialità dei musicisti, ci troviamo immersi in un miscuglio di suoni di chitarra, piano,fiati, batteria e armonica irraggiungibile. Troviamo la massima espressione della musica Pop / Rock, perché possono suonarla solo degli strumentisti con le p…  e, perché non lascia spazio alla retorica nei testi, perché la voce è sempre al massimo della sua espressione: non è possibile cioè sviare grazie a mezzi e mezzucci dalla qualità. E dall’improvvisazione, dal groove, dal mood della band: un Blues si fa anche al momento, e si improvvisa, si innescano alchimie particolari. E’ per questo che John Mayall, con questo e altri dischi, è uno dei pochi bianchi che dopo il periodo florido dei bluesmen neri d’America, è riuscito a portare avanti una musica che altrimenti sarebbe vissuta solo in quei vecchi long playing.

Podcast. Marvin Gaye. Signore e Signori parliamo di soul.

Scrivendo il precedente articolo mi sono ricordata, a proposito di “groove”, di un’altro artista memorabile, anche se avevo promesso di parlarne più avanti. Mi piace parlarne, però, perché Marvin Gaye è stato davvero un grande. Profonda fede religiosa e la raffinatissima sensibilità furono le molle che spinsero Marvin Perez Gay (la “e” fu poi aggiunta per evitare qualsiasi comprensibile equivoco) a dedicarsi alla musica. Nato a Washington D.C., figlio di un pastore apostolico, durante le sue celebrazioni capì cosa veramente significasse “l’essenziale gioia della musica”, come un volta ricordò. Ancora di più di altri giganti del soul, Marvin Gaye è stato forse il più emblematico degli artisti che hanno incarnato l’essenza della soul music.

Podcast. Gregory Abbott, come vivere ricchi e felici con un disco solo

Più che ad un cantante, questo giro lo dedico a un solo disco, Shake you down il cui autore e produttore discografico Gregory Abbott, le cui radici provengono dal Venezuela (sua madre) e l’isola di Antigua (suo padre), è nato e cresciuto ad Harlem-New York.
Gregorio (mi si consenta la famigliarità) si è laureato in psicologia dell’infanzia e ha studiato arti drammatiche. Ha conseguito un Master e un dottorato, che si è aggiudicati grazie a una borsa di studio, in scrittura creativa alla Stanford University. Insomma, una bella testa.
Durante gli studi universitari presso l’Università della California a Berkeley e poi a San Francisco, ha avviato una band per pagarsi le tasse suonando nei locali e disco bar. E proprio durante quegli anni ha sviluppato un suo proprio stile musicale personale decidendo di diventare un musicista professionista con sua disciplina accademica e sviluppando le competenze come compositore, cantante ed anche produttore.

Podcast. Gil Scott Heron. La caduta di un Blackness

I suoi messaggi contro la guerra, contro l’uso delle armi, contro la politica antisociale di un attore riconvertito presidente (Reagan in B movie) e sulle discriminazioni razziali dell’America hanno le ambizioni di essere universali e di parlare a tutti. Tale è la sua opera: l’unione del meglio di tutta la musica nera dal jazz, al blues, al soul; per approdare al funk e alla dance. Musiche insieme semplici e raffinate, fuse in un bollente calderone dove a dominare sono i toni e i colori “neri”. E’ il trionfo della blackness; i neri d’America sentivano di dover urlare di più per farsi sentire in un mondo che di loro non ne voleva sapere. Ecco perché Gil Scott-Heron e il suo The revolution will not be televised piacciono molto ai rappers e agli hip hoppers di ultima generazione e il suo nome viene sempre citato tra gli ispiratori. I suoi messaggi sono stati per tutti gli anni Settanta quelli che hanno raccontato meglio la vita del ghetto e della popolazione nera.

nina simone

Podcast. Storia di un amore: Nina Simone

Non voglio tediarvi con questioni sentimentali e personali, ma la scelta di Nina Simone, questo mese e questa settimana in particolare, hanno a che fare con il mio due di coppia. Ogni essere vivente che abbia qualcuno da amare ha una canzone del cuore: la nostra è “My Baby just Cares for Me” E ho detto tutto.

Nonostante la povertà in una famiglia numerosa, i primi ricordi familiari di Nina sono piacevoli e legati al cibo e alla musica. In uno degli articoli che ho letto per scrivere questo articolo dice: “Il mio primo ricordo, Ë di mia madre che canta. Quand’era in casa cantava sempre con una voce alta, squillante. Erano le canzoni degli incontri della chiesa Metodista e divennero la colonna sonora della mia infanzia. “I’ll fly Away” e “If You Pray Right” oppure “Heaven Belongs to Me. Mentre cucinava mi faceve sedere sul piano di lavoro e mi dava un barattolo vuoto per dare la forma ai biscotti nell’impasto. E intanto cantava.”

Podcast. Al Di Meola. Basta la parola

A far correre le dita sullo scaffale di casa mi fermo al tocco di alcuni dischi: LAND OF THE MIDNIGHT SUN,ELEGANT GYPSY,CASINO, il grandissimo FRIDAY NIGHT IN SAN FRANCISCO (con McLaughin e Paco de Lucia), SPLENDIDO HOTEL, ELECTRIC RENDEZVOUS, SCENARIO, CIELO E TERRA, DI MEOLA PLAYS PIAZZOLLA,WORLD SINFONIA, HEART OF THE IMMIGRANTS, THE INFINITE DESIRE, FLESH ON FLESH, REVISITED, CONSEQUENCE OF CHAOS.
Come recita il titolo di uno di essi, sto parlando di Al Di Meola.
Le riviste specializzate di tutto il mondo lo citano senza sosta da ormai venticinque anni come uno dei più virtuosi del jazz strumentale contemporaneo. La celebrata carriera musicale di Al Di Meola ha raccolto e sperimentato un vasto spettro di emozioni in un unico stile che comprende molteplici influenze.

Podcast. Belli e dannati vers.2: Jaco Pastorius

Jaco Pastorius potrebbe essere stato l’ultimo musicista jazz del 20° secolo ad avere avuto un impatto così importante sul mondo musicale in generale. Ovunque si vada, a volte anche nei luoghi più improbabili si sente il suono del suo basso per radio, o per gli “stacchi” per la pubblicità in tv o per puro caso, come mi è capitato di sentire mentre attraversavo la strada da un auto a tutto volume Ma è anche l’eco di quel suono inconfondibile in molti dei bassisti in giro per il mondo (credo, anzi, possa essere il timbro più imitato che il suono del jazz abbia mai avuto in precedenza). La forma principale che caratterizzò la musica e la vita di JP fu l’ intensità.. Essere stato il primo ad usare il basso elettrico senza tasti, la sua tecnica innovativa e il suo talento compositivo portarono Pastorius, senza falsa modestia, ad auto proclamarsi “il più grande bassista del mondo.” Sfortunatamente dopo la sua ascesa al vertice seguì una rapida caduta verso il baratro, provocata dall’ abuso di alcool e droghe ed accentuata da una specie di istinto di auto-distruzione.

Podcast. Biografia di Dio: Miles Davis

Come si fa a scrivere qualcosa su Miles Davis senza essere banale, sufficiente, parziale, inadeguata?
Miles Davis è stato un musicista che odiava le etichette (come ad esempio Cool Jazz, Hard Bop, era persino contrario al termine Jazz, inventato- secondo lui- dai bianchi per commercializzare la musica afroamericana) Questo suo atteggiamento – o più correttamente questa sua visione della musica – è ciò che ha permesso al Jazz di uscire dal “ghetto” dei locali per soli neri, facendo sì che si affermasse come linguaggio musicale universale, abbattendo i confini dei vari generi musicali.

Podcast. Belli e Dannati: Chet Baker

foto autoreLa discografia di Chet Baker è sconfinata ma i dischi passati alla storia non sono moltissimi. Eppure è difficile trovare un disco che non riservi qualche emozione profonda, emozione di tipo musicale e non dovuta all’alone di poeta maledetto che gli si era appiccicata col tempo. Questa apparente contraddizione si spiega col fatto che Chet aveva una grande musicalità, una enorme sensibilità ed una forte voglia di suonare sempre cose nuove.
Il suo successo iniziale, nei primi ’50, è improvviso e folgorante: My funny Valentine, incisa col quartetto di Jerry Mulligan, lo lancia tra le nuove stelle del jazz.
La sua tromba morbida e senza vibrato si riallaccia a quella di Bix (ma anche al nuovo guru Miles Davis: prossimamente su queste pagine), ma il contesto è più morbido (anche se Chet allora suonava spesso bop) e Chet è bello e bianco ed oltretutto canta con una “voce d’angelo”.