Prendete Sunset Park, staccate la copertina (se vi riesce di farlo) e incollate le pagine in coda a Follie di Brooklyn. Lo avete fatto? Bene: andate all’inizio dei due libri, che sono diventati uno solo, e cominciate a leggere.
Mi sembra che Paul Auster abbia voluto scrivere una elegia alla città di NY, dove abita, attraverso due storie verosimilmente uguali sotto il profilo della tensione emotiva, dei luoghi e dei meccanismi psicologici che stanno nella scatola nera dei personaggi.
Il ritorno di Telemaco



“Il Giovin Signore si trova ad agire in un contesto e in un tempo nei quali qualcuno si permette di mettere in discussione i privilegi del suo stato e i diritti del suo casato. Educato nella ferma certezza del suo rango, affronta le contestazioni e i nemici con l’assoluta sicurezza del suo buon diritto. Nel nuovo mondo in cui si trova a vivere e ad agire, la sua fermezza inconcussa appare come boria violenta e alterigia irresponsabile. Con l’educazione tardofeudale finisce per essere sfasato rispetto al suo tempo. Ogni questione finisce per sembrargli una questione d’onore. Sembra non aver capito che nell’Ottocento per tutelare efficacemente i propri interessi deve servirsi freddamente di avvocati e tribunali, e non usare in modo sanguigno di bravi e randelli.”
Il suono della solitudine. Piccole storie da raccontare a te stesso di Michele Marziani si legge in meno di due ore ma contiene una vita intera. Questo piccolo libro infatti è una sorta di manifesto del Marziani-pensiero e della filosofia di vita che lo scrittore ha elaborato nel corso degli anni e con le esperienze che inevitabilmente, per il solo fatto di essere al mondo, ci determinano. Ma il libro, che fa parte della collana Piccola filosofia di viaggio di Ediciclo Editore, è anche una specie di memoir in cui Marziani racconta i momenti salienti della sua biografia, quelli che hanno influenzato le sue scelte di vita, a volte molto drastiche come quella di costruirsi il proprio mondo da sé.




Per quanto mi sia fatto tre risate (di cui una grassa), cosa per me rara, non me la sento certo di dire che il libro si possa definire allegro. Non lo è, anzi molte pagine sono impregnate di amarezza, l’amarezza della sconfitta. Non solo l’insuccesso al referendum, ma la sconfitta di un modo di pensare e di un’idea di società. Ma nonostante questo Middle England di Jonathan Coe è decisamente di gradevole lettura e merita di essere letto.