Marta Casarini: scrivere non significa necessariamente venire pubblicati

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Qui su Bookavenue abbiamo chiacchierato tre anni fa con Marta Casarini esordiente molto giovane con una piccola casa editrice. La ritroviamo ora con un nuovo romanzo uscito col gruppo RCS che si intitola “Anita friggeva d’amore”.

Ne è passata di acqua sotto i ponti, e ne hai fatta di strada. Ma so che il percorso di questo tuo secondo romanzo è stato piuttosto travagliato e ha rischiato pure di non vedere la luce. Come mai? Ci fai un riassunto delle puntate precedenti?

La pubblicazione non è un traguardo, e scrivere non significa necessariamente venire pubblicati. Questo l’ho sempre saputo, e ne ho avuta conferma quando il mio secondo lavoro è stato rifiutato dagli editori di “Nina Nihil giù per terra”. Con grande onestà, la Voras edizioni mi ha comunicato di non essere pronta ad affrontare la pubblicazione di un testo tanto diverso dal primo, e bisognoso di un più profondo lavoro di editing. All’inizio è stata dura accettare di non avere un editore: per fortuna sono una persona curiosa e piena di interessi; ho cominciato a lavorare come bibliotecaria e ho continuato a scrivere testi teatrali per adulti e bambini, che ho portato in scena nelle scuole e nei teatri dell’Emilia Romagna. Il mio secondo romanzo è rimasto nel cassetto per qualche mese, finché le agenti dell’agenzia letteraria Thésis non mi hanno contattata chiedendomi di proporgli qualcosa…

Dal titolo, “Anita friggeva d’amore” suggerisce una di quelle storie romanticissime ma in realtà il romanzo – pur parlando di tanti tipi d’amore –  non è certo un romanzo “rosa”…
Non mi piace la distinzione tra generi, soprattutto in campo letterario, e non sono nemmeno certa di averla capita fino in fondo. Per me un romanzo “rosa” non significa “stupido” o “destinato solo a donne romantiche”. In “Anita friggeva d’amore” ci sono amore per il cibo, per la vita, per il sapersi lasciare travolgere dalla passione per ciò che si ama fare. Ma sono presenti anche il male di vivere, la difficoltà di non saper gestire il proprio talento, gli ostacoli della crescita e dell’abbandono. Per questo non saprei collocare il mio libro in una casella prestabilita, e so che molte persone restano spiazzate comprando un libro dalla copertina vivace e scoprendo una storia dai sentimenti così complessi. Credo questa sorpresa, confermata dai lettori, sia uno dei pregi maggiori del mio romanzo.

Tanto era “gotico” e amarognolo il tuo primo romanzo “Nina Nihil giù per terra” quanto “Anita friggeva d’amore” è positivo, pieno di calore, colori e soprattutto profumi. Come mai? Hai modificato la tua visione del mondo?
Una mia lettrice qualche giorno fa mi ha chiesto di cosa parlasse “Nina Nihil”. Io le ho risposto: “di una ragazza che soffre di depressione e se ne sta tutto il giorno stesa a terra, parlando con gli oggetti”. E lei mi ha detto: “allora per guarire dovrebbe leggere il tuo nuovo libro, Anita friggeva d’amore!”.
Ecco, questo condensa ciò che è successo tra il mio primo e il mio secondo romanzo: tante esperienze forti che mi hanno fatta alzare da terra ed affrontare un viaggio nei ricordi più dolci e saporiti della mia infanzia, dove nascono tutta la libertà e la gioia che la mia penna può trasmettere. La positività e il calore, se sinceri,  sono atteggiamenti che nascono proprio grazie alla capacità di cogliere anche il lato negativo delle cose. Mi fa molto piacere che la mia evoluzione personale e artistica stia volgendo al lato più colorato e positivo della vita.

“Anita friggeva d’amore” non va letto a stomaco vuoto perché racchiude varie scene che fanno venire l’acquolina in bocca. Si capisce che ami cucinare. Qual è il tuo rapporto con i fornelli? Cos’è per te la cucina? Mezzo d’espressione? Sfogo? Sfida? Pratica confortante?
Un po’ tutto questo, e anche una grande fonte di ispirazione. Mi piace molto osservare ogni cosa, trovare una vita anche negli oggetti inanimati. Il cibo è ricco di energia, così come gli attrezzi da cucina: sono personaggi predisposti al movimento, all’azione. Preparare un sugo al pomodoro richiede sforzo e attenzione, fantasia per non renderlo banale, dedizione, anche divertimento. Un po’ come scrivere.

Cosa significa per te scrivere?
E’ il mio lavoro. Non è facile per me, tutt’altro: a volte significa dolore, lacrime e sangue, perché è un venire a patti continuo con i meccanismi della fantasia e del proprio cervello. Che, almeno nel mio caso, deve essere spesso imbrigliato per non deragliare.
E’ anche la mia più grande passione: niente eguaglia il piacere che provo nel rileggere un brano che ho scritto con il cuore.

So che stai lavorando su un nuovo libro: ti va di parlarne?
Il libro che sto scrivendo ora vede come protagonista una nuova figura femminile: Camilla, che come Anita ha una particolarità “sensoriale” interessante: ha un difetto alla vista che le impedisce di percepire la profondità. Così come “Anita friggeva d’amore” è incentrato sul gusto come porta per esplorare se stessi, in  Camilla descriverò la vista –nel suo caso falsata dalla malattia- come mezzo per decifrare il mondo, personale e universale. Non c’è che dire, i cinque sensi mi affascinano moltissimo e penso che il loro uso quotidiano, consapevole o meno, rappresenti la chiave per trovare la nostra identità.

 

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Carla Casazza

Carla Casazza ha fatto della scrittura la sua passione e lavoro.
Laureata in Pedagogia a indirizzo storico, ha insegnato per diversi anni.
Ha pubblicato alcuni libri sia di narrativa che di non-fiction.
Vive in Trentino.

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