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Uno dei regali più preziosi che mi ha fatto la vita è stato sicuramente quello di poter partecipare ad un compleanno di AA.
Per chi non lo sapesse, gli AA (Alcolisti Anonimi) sono una associazione di auto mutuo aiuto che si prefigge di aiutare gli alcolisti ad uscire da questa malattia, perchè di malattia si tratta.
E’ nel gruppo che si trova la forza di ricominciare, la speranza, il sostegno, un luogo dove nessuno ti giudica. Sorprendentemente si respira amore puro.
Possono partecipare alle riunioni solo le persone che hanno un problema con l’alcol, tranne quando si festeggia il compleanno di uno dei partecipanti del gruppo, ovvero si festeggia la rinascita, la sobrietà conquistata che segna l’inizio della sua nuova vita, il suo compleanno appunto, allora la riunione è aperta a chiunque voglia partecipare.
Io non avevo idea di cosa fosse una riunione di AA ne tantomeno sapevo che festeggiassero quello che viene chiamato compleanno, o meglio avevo in testa le immagini di quei film americani dove ti fanno vedere un gruppo di persone riunite in una stanza che in cerchio parlano a turno del loro problema con l’alcool, ma nulla di più.
Quando alcuni amici con i quali condividevo la frequenza ai corsi di crescita personale mi proposero di andare insieme a loro ad una riunione aperta di AA mi aspettavo una serata emotivamente tetra a stretto contatto con il dolore, sono quindi entrata in quella stanza con uno stato d’animo tra l’ansioso ed il curioso: invece sono state senza ombra di dubbio tra le ore più emozionanti, intense e permeate di speranza della mia vita.
Aspettando l’inizio me ne stavo accanto alle persone che affollavano la sala, e guardavo le persone sedute di fronte a noi, di ogni età ed estrazione sociale ed ho scoperto poi (quando hanno preso la parola per presentarsi) che erano casalinghe, professionisti, studenti, pensionati, operai, diversissimi tra loro per carattere e storia personale, ma una cosa certamente li univa tutti: un profondo senso di rispetto e di umanità come mai ho percepito al di fuori di quella stanzetta.
E la luce nei loro occhi… ogni volta che penso alla serenità mi torna sempre nel cuore quella luce.
I loro interventi avevano parole declinate in storie diverse ma il fulcro era sempre e solo uno: qui ho trovato amici leali pronti ad aiutarmi e a sostenermi.
Questo è anche il fulcro della storia racchiusa nel libro Il custode di Ron Rash: avere un amico che veglia su di te, un custode della vostra amicizia, anche se la guerra ti ha ridotto all’ombra di te stesso, anche se tu dubiti di lui e gli volti le spalle, anche se la tua famiglia crede di fare il tuo bene e tenta di manipolarti, anche se lo sai ma non hai la forza di riprendere in mano la tua vita.
Siamo nel 1951 in Nord Carolina, Blackburn è il custode del cimitero della cittadina in cui abita, l’unico lavoro a cui sembra destinato dato che la poliomelite lo ha lasciato sfigurato in viso e zoppo.
Jacob, il suo migliore amico, avendo preso le distanze dalla sua ricca famiglia per via di un matrimonio non condiviso, gli affida la giovane moglie incinta, Noemi, perchè deve partire per la guerra.
Soli contro tutti, questa improbabile coppia di emarginati cerca di sbarcare il lunario in attesa che Jacob ritorni dalla guerra, possibilmente vivo.
Il destino sembra dare una possibilità a Jacob di riprendere in mano la sua vita, ma i suoi genitori colgono questa occasione per sfilacciare nuovamente la trama della sua esistenza tessendo un inganno che impatterà pesantemente sulle loro vite.
Mentre Noemi aspetta il ritorno del marito e pensa che Forse era quello il lato più triste della vita, non poter capire davvero quanto fosse bella una certa cosa mentre la stavi vivendo, guardando la piccola Annie Mae appena nata, e mentre Jacob, tornato sconvolto dalla guerra, trova appoggio e sollievo al circolo dei veterani: Andare al circolo ti ricorda che anche altri ci sono passati. Col tempo, capirai cosa ti ci vuole per tranquillizzarti. Ogni tanto mi chino e raccolgo una manciata di terra, così, solo per sentirla tra le dita, la porto al naso e respiro il suo profumo. Sono qui, mi dico, sono a casa, il custode della loro amicizia, Blackburn, un uomo grosso ma di grande sensibilità definito da Noemi così Ha un cuore che risplende si assumerà la responsabilità di decidere per il bene dell’amico.
“Forse non si tratta di scegliere quale persona amare” disse Blackburn “Forse un cuore è abbastanza grande da accogliere entrambe”.
Da quel compleanno di AA sono uscita con una certezza, su cui fondo tuttora la mia intera esistenza: che tu sia caduto in basso, che tu stia attraversando un periodo duro, che tu ti vergogni di quello che hai fatto, che tu ti senta senza speranza, che tu non abbia la forza per rimetterti in piedi devi essere certo che un custode dal cuore abbastanza grande da amare entrambi, e pronto ad aiutarti, c’è sempre. Sempre.
Ripensando a quella serata mentre in quella stanzetta mi guardavo intorno meravigliata e sorpresa dalla capacità che abbiamo noi esseri umani di cadere in baratri così profondi ma anche dalla forza che sappiamo tirar fuori da noi stessi quando sembra tutto perduto (e credetemi: ci vuole davvero tanto coraggio e tantissima umiltà a parlare apertamente della propria fallibilità davanti ad una sala piena di perfetti sconosciuti) ho avuto la consapevolezza di aver ricevuto un grande e inaspettato regalo da quella esperienza: la certezza di aver assistito ad uno scambio di vero amore, quello con la A maiuscola.
E non ultimo, da quelle due ore passate in compagnia di sconosciuti, ho ereditato un modo di pensare, di vivere ed una consapevolezza verso i quali guardo ancora oggi tentando di metterli in pratica con umiltà e tanta pazienza: quel custode, infatti, posso esserlo io per qualcun altro.
Blackburn, in fondo, ce lo ha dimostrato.
Per BookAvenue, Marina Andruccioli
Il Libro
Ron Rash,
Il Custode,
La nuova frontiera,
ed.2024 pp.256
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