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E’ mancato il più grande calciatore di tutti i tempi. BookAvenue lo celebra riproponendo l’articolo di Michele Genchi pubblicato sulla nostra rivista di culture letterarie n.3

Una passione, quella per il pallone, che si manifesta fin da piccolo quando, vivendo in una casa ben più che modesta (non c’era neppure l’acqua) non aveva molte cose con cui divertirsi.Grazie al padre, grande lavoratore, aveva però da mangiare sempre a sufficienza e questo spiega come, sia cresciuto con forza nelle gambe e con un fisico resistente. Non aveva mai pensato seriamente di intraprendere la carriera di calciatore, la sua era, come quella di tutti i bambini argentini una semplice passione e il desiderio di giocare e di divertirsi con il pallone.>>

 

 

Ma il suo destino era diverso e forse già segnato nelle sue gambe e così, quando è davvero ancora un ragazzino piccolo, viene subito scelto e messo in una squadra giovanile, i Cebollitas.

E poi, di anno in anno, sempre maggiori successi, sempre maggiori abilità e fama. Giocare nel Boca è di certo uno dei sogni di ogni ragazzo argentino, e Diego lo raggiunge che è davvero giovanissimo ma in patria non è amato da tutti, gelosie e contrasti sono davvero sfiancanti, fuori dal Paese invece inizia ad essere tessuto intorno a lui il mito. Ci sono anche delusioni e amarezze, ma anche grandi soddisfazioni e infine il Napoli! Ancora oggi a distanza di tanti anni a Napoli c’è un altarino dedicato al Pibe, ancora oggi non c’è ragazzo che non lo adori come si fa con un santo, un rapporto con l’Italia molto contraddittorio, fatto di amore e di odio, ma Maradona sa che Napoli è una città che lo ama e lo amerà sempre.

Ma a Barcellona, prima di sbarcare in Italia inizia per lui la più tremenda delle vicende, la sua dipendenza dalla cocaina: ancora dominata quando va al Napoli, ma sempre più invasiva nella sua vita anche perché altri utilizzeranno questa cosa in modo piuttosto spregiudicato. Ed ecco come affronta il tema doloroso della sua dipendenza, con la rabbia di chi ha sbagliato, ma che è stato condotto da altri all’errore, di chi sa di non essere il solo, ma di essere stato il solo a pagare: “Ora però basta: smettiamola con questa storia di Maradona che ha portato la droga nel calcio argentino: mi hanno invischiato con la cocaina e questo non è un vantaggio, è uno svantaggio! Ma se nel calcio argentino è stata usata la droga, è stata per correre! Per stare all’altezza dei tedeschi, per vincere la Coppa Intercontinentale, per vincere la Coppa Libertadores che io non sono mai riuscito   a giocare.”Ma anche quando affronta questo tema doloroso, se parla dei mondiali a cui ha partecipato, quelli vinti e quelli persi (magari in modo poco limpido), in Maradona c’è una gioia appassionata, un entusiasmo tale che dimostra come, a distanza di tanti anni, quelle siano state per lui esperienze indimenticabili, felici o dolorose, ma indimenticabili.

Ma è la solitudine, il sentirsi respinto che ha fatto soffrire questo numero uno diventato improvvisamente troppo scomodo per tutti.
Per tutti ma non per Claudia, la donna che gli è sempre stata vicina, che ha sopportato ogni fase della sua vita, ogni debolezza e ogni gloria. Questa autobiografia, forse sincera forse no, come è logico, molto interpretativa dei momenti neri e piuttosto assolutoria, è davvero interessante per chi ami il calcio perché è prevalentemente dedicata alla sua attività professionale: solo le ultime pagine del libro sono dedicate esplicitamente alla famiglia e alle persone umanamente importanti per lui, Fidel Castro tra questi.

 

 

Diego Armando Maradona – Io sono el Diego
Traduzione di Alberto Bracci T.
Fandango (Fandango tascabili)

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