Massimiliano Naglia, Gli occhi della solitudine

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   Tempo di lettura: 7 minuti

copertinaVedi alla voce: amore.

Ho letto e riletto il libro di Massimiliano Naglia senza decidermi a scrivere qualcosa che fosse degno delle parole lette e capace di convincervi a fare altrettanto.
Gli occhi della solitudine è un libro d’amore, lo dico subito. E proprio perché parla di amore, riflette l’esperienza di ognuno sul proprio. Siamo amati abbastanza? Amiamo abbastanza? Che domande ingenue: come se l’amore si possa misurare in termini di peso senza guardarne la consistenza oppure l’inconsistenza. Ci sono amori che, col senno di poi, misuriamo come tali. Dipende dalla portata degli istanti indimenticabili, a dirla con l’autore.

Ma l’amore è anche altro. Massimiliano lo fa dire al suo alter ego letterario verso la fine del libro: l’amore è lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore. Questa è una definizione che, da quando l’ho letta, mi rimbomba nella testa, con un’eco quasi insopportabile per la verità che grida, che mi distoglie dalle mie attitudini quotidiane, come un disco che è piaciuto a tal punto che, ricordandone la melodia, mi impedisce di ascoltare altro.
C’è una poesia che ho amato molto e che mi ha accompagnato negli anni permettendomi di trovare sempre il mio posto nel mondo: è il “Canto alla durata” di Peter Handke. “Gli occhi della solitudine” mi ha ricordato le parole a disposizione per una rinnovata lettura sullo scaffale della libreria di casa.

 

L’amore è multiforme. Amiamo diverse cose con diversi tipi di amore. Quello che misuriamo qui è quello tra un uomo e una donna. Ma l’amore è anche il timbro del tempo. Quello che misura un (quel) momento da un altro (identico) momento. Nelle parole di Handke il richiamo, in una piazza di una città lontana da casa, di una voce che pronuncia il nome dell’autore con quell’inconfondibile timbro (ma potrebbe essere benissimo il nostro nome ad essere pronunciato) che la rende unica fra le infinite voci del mondo. Ecco: quell’attimo, quel momento che ci fa girare la testa verso il suono, quello è l’attimo. Non lo sguardo sorpreso successivo. Non il sorriso che ne scaturisce dal riconoscimento. No. E’ proprio il momento in cui i muscoli girano il collo, permettendo alla testa di spostarsi indietro a guardare. Quando le sinapsi impongono nome e forma alla cosa riconosciuta. Quella è la durata. Il secondo in cui percepiamo il tempo: cosa è stato il nostro dall’ultima volta che abbiamo udito lo stesso suono chiamare il nostro nome.

La durata dell’amore. Che cos’è il senso della durata? Può l’amore essere a termine? E’ un periodo? Una certezza? Non credo. L’amore, come la durata, è un sentimento. Il più sfuggente dei sentimenti. Non prevedibile, non misurabile. La durata spesso può essere un attimo, anche se non si può amare solo per un attimo. Eppure, essere “padroni” della durata significa percepire quello che accade alle anime per il tempo dato. Capita di rado; come nella storia di questo libro.

L’amore impone silenzio. Ma libro di Massimiliano Naglia è un libro tanto silenzioso, ma denso di parole che riempiono: come il brusio di una strada affollata di gente. Gridare l’amore è anche questo.

L’amore rende vulnerabili. Siamo indifesi di fronte al disincanto. Siamo indifesi di fronte alla verità che ci tengono le mani dell’altro. Siamo deboli per la paura di non essere amati. Abbiamo terrore di scoprire l’amore per le scelte che impone. Temiamo la paura di non riconoscerlo anche quando è lì davanti: siamo instancabili cercatori d’amore per questo motivo. Il protagonista ha torto. Non è vero che misuriamo la forza di noi stessi nella disposizione con cui affrontiamo le cose della vita.

Ricordo di un amore. Ognuno ha il suo nome. Come nel libro.
Lei è Clementina. Il mio è Cristina. Loro si sono conosciuti ad una festa negli anni dell’università. Anche noi: all’angolo di strada fuori dalla facoltà di lettere. Loro si sono lasciati quasi subito; noi non siamo mai stati veramente insieme: non ne ebbi il coraggio (ma qui si parla di un libro, la mia è un’altra storia). Le analogie, come le storie di tutti sono, però, a portata di pagina.
E le intermittenze della vita hanno accompagnato loro e noi per le strade in cui l’esistenza ha indicato di andare. Mai paghi l’uno dell’altro, come le storie che non finiscono con un addio che nessuno dei due ha avuto il coraggio e la forza di pronunciare. Non è finita fino a quando uno dei due non dice “adesso basta”. E quando è finita, c’è sempre la speranza di qualcosa che ci riavvicini. Questa volta per sempre. Oppure, come nella storia, che ci rassegni al destino delle cose, come se l’amore fosse solo una componente dell’esistenza e non l’esistenza stessa cui votiamo le vite, e lo si faccia spegnere poco alla volta, per sfinimento e rassegnazione, lasciandoci i segni le cui cicatrici non guariscono più. Ogni volta che ci capiti guardarle e toccarle, ci ricordano i segni distintivi di quello che è stato.
Non raccontiamoci bugie, per piacere: chi non ne ha almeno una, alzi la mano.

La storia del libro è come la nostra, amici miei. Il racconto offre un arco temporale sufficiente per capire che colore hanno i nostri occhi della solitudine.
Rimane la curiosità di sapere come sarebbe stato. Non credo che il protagonista e Clementina sarebbero diventati una coppia che con il tempo avrebbe dato atto al fatto che sì, ci si è amati molto in gioventù, ma poi sono sopraggiunti i figli e la loro naturale predisposizione ad elevarsi verso l’alto, la casa, le vacanze al mare ogni estate, le cose di tutti i giorni, insomma. Mi piace pensare che a loro sarebbe stata risparmiata la miseria, che spesso vedo in qualche coppia, dell’auto rassegnazione con cui ci si divide la durata.

Come sopravvivere alla mancanza di amore. Non si può. A patto che se ne trovi un altro. Oggi siamo tutti felici di dirci “siamo felici”. Provate a girare la testa quando qualcuno chiamerà il vostro nome dall’altra parte della piazza: sarò pronto a leggervi. E, per quello che riguarda voi, un consiglio: leggete questo libro. E’ bellissimo.

per Bookavenue, Michele Genchi

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1 commento

  1. Libro molto bello, che danza intorno all’amore con le parole, come se queste fossero una colonna sonora dei sentimenti.

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