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Alberto Bevilacqua. La califfa 45 anni dopo

   Tempo di lettura: 13 minuti

copertinaROMA. Avevamo appena iniziato a girare La califfa racconta Alberto BEVILACQUA , e Romy Schneider, nonostante fosse una bravissima professionista, non era ancora entrata nella parte. A volte perdeva la pazienza, si arrabbiava, diceva che era stanca e che voleva rinunciare. Poi, per darsi coraggio, di tanto in tanto allungava la mano verso un bicchiere di vino fresco. Io volevo evitare a tutti i costi che bevesse oltre misura e, di nascosto, mescolavo con acqua quella che era la sua bevanda prediletta>. Il film tratto dalla <Califfa>, suo romanzo di gran successo, segno’ per lo scrittore emiliano l’ esordio nella regia.

Sul set, nella calda estate del ‘ 70, non mancarono imprevisti ed emozioni. L’ amarcord estivo di BEVILACQUA e’ segnato da molti chiaroscuri. Romy Schneider, gia’ molto nota per la serie dei film dedicati all’ imperatrice Sissi, diminutivo di Elisabetta di Baviera, moglie di Francesco Giuseppe, aveva accettato di indossare i panni di una prosperosa ed esuberante bellezza della Bassa Padana. Ma da aristocratica asburgica a proletaria il passo era lungo. E poi sotto le luci dei riflettori era nata, del tutto inattesa, una complicata, e non sempre pacifica relazione sentimentale tra lei e il neoregista. <Romy mi interessava molto come attrice, ma come donna al primo incontro non mi aveva incuriosito in modo particolare ricorda BEVILACQUA . L’ avevo trovata intelligente, simpatica ma tutto sommato fredda e poco sensuale>. A presentarli era stato Luchino Visconti, con cui la Schneider stava girando un episodio di <Boccaccio 70>, <Il lavoro> BEVILACQUA aveva chiesto un’ intervista all’ attrice, che gli diede appuntamento al suo albergo, l’ hotel Hassler, sopra Trinita’ dei Monti. <Mi fece salire nella sua stanza ricorda BEVILACQUA . Me lo ricordo bene. Io ero molto intimidito e lei mi ricevette in vestaglia, senza trucco. All’ inizio fu poco cordiale, anzi gelida. All’ improvviso comincio’ a raccontarmi di se’, della sua vita. Mi accorsi che quanto si diceva di lei non corrispondeva a verita’. Negli ambienti del cinema era descritta come una ragazza viziata, capricciosa, e invece quella che mi trovavo davanti era una persona estremamente ambigua, al contempo determinata e insicura. Mi apparve esemplare il suo rapporto con Visconti. Lui la trattava come una principiante benche’ fosse un’ attrice molto popolare. E lei era visibilmente intimorita, ma non si lasciava soggiogare. Anni dopo questo primo incontro lessi su un giornale una dichiarazione di Romy che sosteneva di essere stata innamorata di Visconti, nonostante la ben nota omosessualita’ del regista. Non so se quell’ affermazione corrispondesse a verita’, ma lui si comportava come se si sentisse il suo Pigmalione>.

Il film con Visconti era stato l’ occasione d’ oro che l’ ex imperatrice Sissi aveva sognato da tempo. Voleva abbandonare l’ immagine che le si era stampata addosso, quella della caramellosa eroina asburica che le aveva fatto guadagnare tanti soldi (di cui beneficiarono anche molti degli uomini della sua vita dal patrigno al secondo marito), ma che la Schneider detestava. <Aveva recitato, dopo la serie di Sissi, con registi come Orson Welles e Otto Preminger, ma non era contenta di se stessa. Era come se tutti quei sorrisi, mossette, cappellini e velette di Sissi se li sentisse incollati sulla sua persona, sul suo corpo>. La <Califfa > fu per lei una nuova occasione di cambiare faccia, cercare una strada che la rinnovasse completamente. Nella storia dell’ avventuriera Irene Corsini, popolana alla ricerca di benessere economico e di elevazione sociale, la Schneider ebbe come partner di altissimo livello Ugo Tognazzi. L’ attore impersonava Annibale Doberdo’, industriale sedotto e conquistato dalla Califfa che perpetra, per amore di lei, una sorta di <tradimento di classe>, crudelmente punito. Ma la nascita del film fu rinviata a lungo e per qualche anno non vi fu che una cartolina inviata da Romy al <caro Alberto>.

Quando il progetto della trasposizione cinematografica della <Califfa> comincio’ a prendere corpo, BEVILACQUA si convinse che protagonista ideale, per il suo carattere volitivo, sarebbe stata proprio l’ attrice viennese. Fece di tutto per imporre il nome della Schneider. Ben pochi erano d’ accordo con lui: Romy era figlia d’ arte, educata in un collegio di suore vicino a Salisburgo, e aveva esordito prestissimo, a quindici anni. Nell’ aspetto era rimasta una signorina di buona famiglia, con raffinati tailleur, il suo filo di perle, con gli abiti <a tubino>. E cosi’ si era conservata anche negli anni della relazione con Alain Delon che l’ aveva sconquassata psicologicamente ( <E’ un vigliacco>, aveva dichiarato dopo che l’ attore l’ aveva lasciata, <ma molto bello. Con lui ho passato cinque lunghi anni di agonia> ). La Schneider, insomma, non sembrava affatto la sensuale e curvilinea Corsini creata da BEVILACQUA. I diritti cinematografici dell’ opera appartenevano da lungo tempo ad Angelo Rizzoli, che li aveva acquistati, ma che non aveva mosso un dito per sfruttarli. <La verita’ dice BEVILACQUA era che l’ editore aveva una sua candidata prediletta per la parte principale, Graziella Granata. Delle doti di questa attrice quasi tutti i registi interpellati, tra cui De Sica e Rossellini, dubitavano>. Un giorno l’ autore del romanzo prese coraggio e ando’ a bussare al palazzo milanese dell’ editore. <Qual buon vento la porta, caro Passalacqua>, lo accolse il vecchio Angelo che aveva il vezzo un po’ maligno di storpiare i nomi. Lo scrittore racconto’ di avere ricevuto un’ offerta interessante per il suo romanzo dalla Paramount. Addirittura si faceva il nome di Marlon Brando come interprete maschile. BEVILACQUA propose a Rizzoli di cedergli i diritti. In apparenza la sua richiesta venne accolta, ma qualche settimana dopo scoppio’ una vertenza giudiziaria che colo’ a picco ogni possibilita’ di organizzare il film con la societa’ americana. Nei progetti per la pellicola subentro’ allora il produttore Cecchi Gori, che pero’ voleva Lisa Gastoni nella parte della Corsini. Solo dopo un lungo tira e molla BEVILACQUA riusci’ a far valere il suo punto di vista. Nel giro di qualche settimana sbarco’ a Parigi per incontrare la Schneider. <Avevo un appuntamento con Romy in un caffe’ degli Champs Elysees. Era vestita di viola. Era sempre avvenente, ma molto sciupata rispetto al nostro primo incontro. Gli anni erano passati in fretta per lei. Delon, il ” bellissimo” del cinema a me cordialmente antipatico continuava a rappresentare il suo smacco e anche una specie di ossessione. Le parlai del film. Poi andammo a casa sua ed ebbe inizio la nostra storia, destinata a durare, con alti e bassi, alcuni anni>.

Quando cominciarono a girare sul Po, le burrasche e la tensione non mancarono. Imprevedibile, a volte estroversa, altre volte scostante, la Schneider sapeva essere affascinante e indisponente insieme. Come quando rallento’ per ore il ritmo delle riprese e pianto’ un durissimo capriccio perche’ non voleva assumere una posa scomposta a tavola, cosi’ come era previsto dalla sceneggiatura. Volarono parole grosse e ci vollero tutte le arti del regista per convincerla a cambiare opinione. <Dovetti faticare un po’ per farle capire che mettere i gomiti sul tavolo poteva non essere educato, ma si adattava bene al personaggio di una donna della campagna emiliana>. E poi vi fu una memorabile litigata. Si era alla scena in cui l’ amante padrone Tognazzi doveva baciare il ventre nudo della Califfa e lei doveva apparire senza veli. Con un pudore insolito per un’ attrice, la Schneider fece di tutto per non doversi spogliare completamente. <Non riuscivo a capire questa sua resistenza. Finalmente mi confido’ la causa del suo rifiuto ricorda BEVILACQUA . Non si piaceva perche’ aveva un seno, quello sinistro, piu’ basso dell’ altro. Questo “difetto” la preoccupava moltissimo. Io la rincuorai, anzi le dissi che questa particolarita’ era un tratto molto “suo”, quella che sembrava un’ imperfezione la rendeva piu’ attraente. Lei me ne fu grata e in seguito mi ripete’ piu’ volte, scherzando, che io le avevo fatto amare il suo seno sinistro>. Ma quella scena continuo’ a creare problemi anche dopo che le resistenze di Romy erano state abbattute; fu la censura ad accanirvisi contro. <E mi stupisco ancora degli interventi censori su quella sequenza, Tognazzi baciava Romy con una sensualita’ che definirei religiosa>. Un inaspettato atto di coraggio dell’ attrice sconvolse la troupe quando la Schneider si lancio’ tra le lamiere, durante l’ incendio della macchina di Doberdo’, per salvare un uccellino, ferendosi e piagandosi le mani realmente e non solo come era previsto per finzione dalla sceneggiatura. Il fatto che l’ attrice bevesse piu’ del giusto e non si lesinasse neppure gli psicofarmaci non danneggiava in alcun modo la sua recitazione, ricorda BEVILACQUA. Anzi. <Alcool e medicinali la liberavano da molte sovrastrutture, la rendevano piu’ autentica. Rinunciava ad atteggiamenti mondani o a moine e pose da personaggio pubblico. Anche la sua educazione molto formale veniva messa tra parentesi; a tutto vantaggio della sua parte: visto che doveva indossare i panni di una donna dalle abitudini e dai gusti molto popolari>. A movimentare la vita di tutto il cast non c’ erano solo gli sbalzi di umore della Schneider ma anche il suo inaspettato carattere passionale. <Era molto gelosa. Mi faceva scenate per un nonnulla, per un bel profilo di donna che, secondo lei, aveva attratto la mia attenzione per qualche minuto in piu’ del dovuto dice lo scrittore . Ma le sue rabbie erano come temporali estivi, sparivano rapidamente. Allora Romy si trasformava e appariva come era veramente: con la sua piu’ vera personalita’, vitale e solare. Nei nostri spostamenti in qualche occasione ci raggiunse il figlio David, che aveva tre anni. Lo considerava la sua grande consolazione, perche’ lui era “l’ unico uomo che non mi tradira’ mai”, come spesso ripeteva>. Ma David sarebbe stato vittima di un drammatico incidente: mori’ quattordicenne, conficcato sulle aste acuminate di un cancello su cui giocava. Poco dopo la madre lo segui’, stroncata da una crisi cardiaca a 43 anni.

Con la fine della Califfa si avviera’ ad esaurimento anche il legame con BEVILACQUA. Dove stava il fascino segreto di questa bellezza austriaca? <La sua carica magnetica derivava da molti elementi. Prima di tutto metterei il suo curioso modo di camminare, molto maschile. C’ era in lei un tratto androgino che esercitava una forza di attrazione non solo sugli uomini ma anche sulle spettatrici, una caratteristica che ebbe in comune con la Dietrich. E poi la leggera disarmonia del suo corpo la rendeva molto erotica. Ma la capacita’ di seduzione di Romy dipendeva soprattutto dal suo carattere, dalla notevole carica di violenza che aveva dentro di se’. Sul set o in una relazione sentimentale nel partner vedeva sempre e comunque un avversario. La grazia sensuale si alternava a tremendi scatti di furore. E tutto questo faceva di lei un’ attrice di rara intensita’ drammatica> Mirella Serri da La Stampa

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