Alice Munro scrive di paesi diversi e di persiane verdi abbassate, di porte che si aprono sul vuoto e di fienili grigi, capannoni sbilenchi e mulini fermi in lontananza. Di teiere tutte dorate e decorate di rose, di chiazze di latte e di porridge sul tavolo di cucina, di deliziosi slanci di compiaciuto buon cuore, di palestre che odorano di pino e di cedro e di case immerse nel buio o di strade nere e cortili imbiancati dell’ultima neve rimasta.
Con la sua impareggiabile maestria nella scrittura di racconti, Alice Munro ci racconta la dignità del dolore e di certi misteriosi e opprimenti imperativi che spesso ci gravano addosso senza che lo sappiamo.
Ci avverte che qualcosa di torbido e inesprimibile è emerso alla superficie e cerca di arrivare a noi, di afferrare qualcosa.
Se rileggiamo ogni storia possiamo osservare quanta abilità riveli la narrazione, come ogni frase sia tesa e ogni immagine piena. Tuttavia qualcosa rimane non spiegato e avvolto dal mistero... perché tra le pagine di Alice Munro, come scrive Pietro Citati, “l’inatteso si nasconde in ogni riga: oppure si scatena la più romanzesca e melodrammatica inverosimiglianza”.
Alice Munro, Danza delle ombre felici, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2013.