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Castel del Monte anima loci

   Tempo di lettura: 11 minuti

Dal diario di un’antica navigazione composto intorno al 1250 si legge: una montagna longa enfra terra et alta, e la dicta montagnose clama lo monte de Sancta Maria, et à en quello monte un castello.

Castel del Monte ad Andria, visibile nel tratto costiero tra Trani e Barletta, è con la sua pianta ottagonale, la policromia della sua roccia calcarea, illuminata dal sole, un punto di riferimento per i naviganti dell’epoca ed un esempio nobilissimo di arte posta al servizio del potere.

Per ogni luogo che non si conosce ci vorrebbe un narratore che sappia accogliere e stupire il visitatore girando il chiavistello di una porta invisibile, quella che separa il fuori dal dentro, il vecchio dal nuovo, il già visto e sentito dall’inaudito e dal sapere ancora sconosciuto.

Ma per Castel del Monte ci vorrebbe un narratore d’eccezione e chi meglio di Federico II in persona potrebbe spalancarci le porte di un palazzo tanto bello quanto ancora misterioso ed arcano.

Ci troviamo ad Andria nel 1200 circa, un secolo difficile per la verità costellato di viaggi d’armi e di battaglie, in un tempo in cui viaggiare costava una quantità di anni ingenti che a stenti si colmava di attese e di ritorni , se il ritorno riusciva a compiersi che già l’andare era una grande impresa. I viaggi nel medioevo possono considerarsi fatti straordinari, in un’epoca di ottusa e riottosa chiusura, quando la vita era imprigionata tra le mura e le alte torri e dove il mondo si guardava da strette feritoie e lungo i camminamenti di guardia.

Poniamo il caso di trovarci nelle terre di Federico lo Stupor Mundi proprio a ridosso dei boschi intorno all’ alta e verdeggiante murgia dove sorge il castello. La luce filtra tra i rami e mentre si è intenti a scrutare i fasci di luce, tra le fronde si vede scintillare un bagliore improvviso. E’ la punta fulminea di un dardo che sfreccia verso uno stormo di pennuti. Un ambito bersaglio l’uccello che, ferito a morte, cade a piombo nel fitto della boscaglia e viene raggiunto dai fidi segugi. Ed ecco Federico e il suo reale drappello dirigersi verso una radura. Sull’avambraccio destro ricoperto da un guanto di pelle e cuoio è appollaiato un falco con il capo coperto. Federico sperimenta l’importanza dell’impiego del cappuccio nella falconeria, lo ha appreso in Oriente. Addestrare il rapace a conoscere gradualmente i suoni che lo circondano, senza creargli dei traumi, inizialmente, è un compito importante che richiede tempra e pazienza,ma una volta abituato a convivere con tranquillità con l’essere umano e i suoni che lo circondano, il falco servirà per gli spostamenti e l’orientamento. Federico scende da cavallo reggendosi con un sol braccio e tenendo alto il braccio con il rapace. Inizia a roteare il laccio e da lì a poco è pronto per il lancio, il falco apre le ali e si dirige sulla preda con la precisione di un dardo e la sua stretta ha una presa infallibile. Solo ora il drappello capeggiato da Federico oltrepassa la radura e sale sulla pendice ad ovest della murgia per fare rientro al castello con gli occhi fulgidi sull’orizzonte alle sue spalle. Si sofferma a guardare le sue terre, le vere pupille degli occhi nostri, le Puglie, di cui, egli è nominato Puer Apuliae. Terre ricche ed amabili nei golfi, nelle anse, nelle dolci alture, nei boschi di latifogli, querce e faggi, nella natura rigogliosa bagnata di sole e di mare greco che si crogiola nel Mediterraneo. Lo sguardo di Federico è l’occhio della scienza, un occhio che non si fa sfuggire i confini del suo sogno imperiale che è anche un sogno di conoscenza e di sapienza, un sogno di perfezione geometrica e matematica, un sogno che ambisce alle stelle e alla misura geometrica, un sogno di armonia architettonica che si disegna nelle volte, nelle chiuse, nelle cisterne, nelle torri, negli architravi, nell’ottagono, nel cerchio e nel quadrato. E’ un sogno di perfezione che si riflette nelle piante degli edifici, nelle lettere, nella metrica, ma anche nelle leggi del suo governo itinerante e del suo Stato centralizzato. Perfezione che cerca di raggiungere come condottiero di pace, anche in Terra Santa dove forgia equilibri difficili attraverso una fine attività diplomatica tra i Crociati e il sultano d’Egitto, con il quale istaura un’amicizia solidale tanto da guadagnarsi l’appellativo di ‘Sultano battezzato’. E’ nella sua tempra il crogiolo formidabile delle sue origini sveve e normanne, il connubio tra l’antico sogno imperiale di Bisanzio, Roma Imperiale, la Germania, le amate terre di Puglia e di Sicilia.

Castel del Monte rappresenta il suo ingegno vivo, il suo amore per la scienza racchiusa in una simbologia che si ripete con un ritmo armonioso , simmetrico, costante. Un succedersi infinito di escatologiche visioni: otto torri, otto porte, otto stanze, otto fiori sulle cornici, otto foglie di vite, otto di girasole, otto di acanto, otto di fico, otto foglie sui capitelli e ancora otto sulle chiavi di volta.

Un’infinita combinazione di linee perfettamente tangibili negli spigoli che si congiungono e un infinito passaggio tra cielo e terra.

La quadratura del cerchio comprende il sole catturato tra le otto torri disposte a raggiera e ancora una volta la sequenza dell’otto si ripete nelle date a segnare l’equinozio di autunno e un susseguirsi di fasci d’ombra e di luce si disegnano nel cortile interno così come lungo il perimetro esterno delle mura.

Dopo la delizia della caccia non vi è di meglio che un bagno alla maniera orientale, un bagno che depura il corpo e rinfranca la mente, un bagno profumato di mirto, di agrumi e di oli. Le cisterne raccolgono l’acqua piovana purissima e un sistema ingegnoso le fa confluire verso la grande vasca adorna di marmi policromi.

Acqua e fuoco nel castello, il fuoco che illumina la notte, l’oscurità e scalda le membra, ma fonde anche i metalli nelle fucine segrete dove si tenta la conversione dei metalli in argento ed oro.

Il castello stesso è fucina di scienza e di tecnica, luogo in cui si ammirano le arti e si praticano, dove si conserva la scrittura e la sapienza, dove si accolgono i sapienti e si fanno soggiornare in un generoso e partecipato atto di mecenatismo.

Fucina e astrolabio tra le mura di Castel del Monte legano lo spazio e il tempo, le antiche leggi tolemaiche, le antiche conoscenze che ravvivano la curiosità e accendono il fuoco della conoscenza di Federico che per le sue grandiosi doti viene denominato Stupor Mundi.

Ma all’imbrunire quando si accendono le peci che illuminano le fiaccole compaiono altre figure sulle scale a chiocciola. Hanno mantelli lunghissimi che toccano terra e sguardi accesi, sui pettorali lunghe linee che si incontrano a croce. Sono i templari a guardia del sacro Graal. Che sia dunque uno scrigno per la coppa sacra Castel del Monte? Un diadema di marmi policromi al cui centro sia posto un tesoro inestimabile, la coppa in cui Gesù bevve il vino dell’Ultima Cena e in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue del costato di Cristo deposto dalla croce?

E’ ancora un mistero racchiuso tra le mura del castello di Federico. Una sapienza quella dell’imperatore di Svevia che sfociò nella creazione di due Università a Napoli e a Bologna per creare uno spazio per la scienza, la medicina e la giurisprudenza. Un bisogno avvertito proprio da quel soggiorno nella sua amata Puglia, terra ridente stagliata tra l’Occidente e l’Oriente, punto nevralgico tra due mondi, vicina alla Terra Santa, vicina alla terra degli Infedeli, punto mediano tra la culla della civiltà greca e le colonne d’Ercole, oltre le quali, un mondo sconosciuto e ancora destinato a rimanere lungamente inesplorato, fanno della Puglia l’ambito premio imperiale, la punta di diamante del Regno delle due Sicilie collocata nell’antica Andria evangelizzata da San Pietro nel 492 d. C.

Che cosa rimane nella moderna Andria di questo passato che gronda di storia e di leggenda, sicuramente l’anima di un luogo che si narra attraverso le pietre, le volte, le torri, gli edifici, attraverso la geografia di un ‘dove’ cesellato dalla natura delle coste e dalle alture di terra, dal clima e dalla vegetazione. Castel del Monte rimane sulla cima delle murge a testimoniare inalterato il dominio dell’uomo sul tempo, un dominio che se non può durare in eterno trasumana di eternità nelle creazioni e nell’ingegno umano, nei suoi patrimoni che resistono ad ogni trapasso e lasciano una traccia indelebile sul profilo naturale dei monti e delle coste, finché ci sarà un tempo per narrare e da narrare.

Poi, forse, sopraggiungerà un nuovo caos che dipanerà il filo delle cose e scioglierà le complessità, ma fino ad allora le geometrie perfette e i cardini delle porte continueranno a girare per Castel del Monte e la luce del sole allungherà le ombre delle sue torri e narrerà di Federico e delle sue Terre.

Ombre che si disegnano sulla storia da quando è tramontato il sole della giustizia, è morto il difensore della pace.

Antonio Capitano Marianna Scibetta

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