E' stato un frate trappista dei libri, Roberto Cerati. Il sabato mattina a Milano, dopo la settimana passata in casa editrice a Torino, ha per anni percorso le strade delle librerie semplicemente per andare a salutare il libraio, a prenotare le novità o a fare le spunte dei cataloghi presenti. E' stato un teorico delle basse tirature e delle ristampe continue, uno che diceva che l'Editore, quello con la E maiuscola doveva badare a tutto il catalogo e venderlo "faccia a faccia" con il libraio. I librai di questo Paese gli sono grati tutti, nessuno escluso, e hanno sempre imparato qualcosa. E tutti, compreso gli scrittori, si sono fidati del suo giudizio.
Ha girato l'Italia in lungo e in largo con la sua voce bassa, non ha mai urlato in tutta la sua vita e con quella calma ha raccontato un modo di fare, di essere del mestiere, e di voler bene ai libri. E' stato per decenni l'alter ego di Giulio Einaudi; è stato il grande direttore commerciale di Einaudi, che ha governato per anni, con i suoi silenzi, i memorabili mercoledì nella sala del tavolo ovale, ed è stato naturale che, alla scomparsa del grande editore, ne prendesse il posto alla guida della casa editrice torinese.
Con quel modo di essere riconducibile fin troppo facilmente alla tuta blu, all'onesto operaio dei libri, Cerati ha sempre richiamato tutti, dai colleghi editori, ai rappresentanti delle case editrici e ai librai ad essere uniti per lo stesso progetto di vendita al servizio della lettura, piuttosto che difendersi gli uni dagli altri tra chi vuole "piazzare" le "pile" e chi vuole difendersi da esse. Un insegnamento, questo, oggi passato di moda di fronte al cambiamento di pelle occorso a questo nostro mestiere a causa della crisi, certo, ma pure di una nuova malattia destinata ad uccidere quello che è rimasto di questa ossessione di vendere libri: quella del neomanegerismo imitativo, molto di moda di questi tempi, carnefice e vittima di se stesso alla ricerca del lettore che non c'è, perchè incapace di saperlo trovare. Credetemi: ne siamo pieni.