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LLL Living Literary Legend

   Tempo di lettura: 12 minuti

foto autoreL’autore.
Definito LLL Living Literary Legend, in occasione della celebrazione del suo 75mo compleanno, Philip Roth ha donato la sua vita alla scrittura. Considerato già un grande con i suoi racconti d’esordio Goodbay Columbus, Roth ha scritto moltissimo nella sua carriera differenziando tre aree distinte il suo lavoro. Quella famigliare e autobiografica (leggi Patrimonio, a proposito della morte di suo padre), ha indagato il tempo della società americana con grandissimi romanzi (la Pastolare: un vero capolavoro e gli altri due che seguono, La macchia umana, Ho sposato un comunista), consacrato con Il Lamento di Portnoy, una audace tragicommedia post rivoluzione sessuale, e la grande ironia di Zuckerman: il suo alter ego sulla carta con il quale si è divertito a raccontare molto della sua esistenza di scrittore cui ha dedicato alcuni libri fino al Fantasma esce di scena. Ha un bel caratteraccio: ne hanno fatto le spese i suoi intervistatori caduti nella trappola della retorica definendo i suoi romanzi come “letteratura ebraica”, una soffocante distinzione che ha sempre irritato Roth non poco. Ha vinto praticamente tutto quello che c’è da vincere in campo letterario. E se non fosse per i pregiudizi intellettuali dell’Accademia di Svezia, avrebbe ben meritato il Nobel da diverso tempo e in specie quest’anno a vedere come è finita.

 

Il libro. Nel suo nuovo romanzo, “Indignazione”, Philip Roth rifiuta di dare una parte fondamentale d’informazioni fino a circa un quarto del libro. Questo gioco mi sembra giusto per lo scrittore, che può permettersi davvero di tutto, compreso quello di giocare con il lettore. Un po’ meno di chi vuole scrivere una sana, sincera, garbata scheda del libro. Per i professionisti della recensione mi spiace. Vita dura! Per dire che potreste travisare il libro. Siete avvisati. Oddio! Non che non si possa capire. Magari dando un’occhiata all’indice dei capitoli, verrebbe fuori qualche intuizione costruttiva. Anticiparlo, mi sembra troppo facile: rischierei di rovinare una strategica sorpresa per le persone che amano questo genere di cose.

Quindi, nel caso in cui si desideri mollare la lettura di quest’articolo prima del tempo, vi informo che ho intenzione di accennare la storia in maniera innocua ma non evasiva dandone riassunto della trama senza troppo scoprire il tutto, in modo da lasciarvi il piacere di leggere il libro fin d’ora o di aspettare la sua traduzione. Tra le altre cose Roth ha anche un paio di sorprese per chi legge, ma prometto di non avvicinarmi a nessuna di queste. In ogni caso, non è abbastanza sorprendente che Roth, ora 75nne, ha appena pubblicato il suo terzo romanzo in tre anni?

Ebbene, a questo punto, comincerei a dire. In “Indignazione”, la sua potenza e l’intensità sembrano immutate.

Generalmente preferisco il Roth dei romanzi brevi e devastanti tra sesso e mortalità tipo: “Everyman” (2006), “Il fantasma esce di scena” (tr.2008), “L’animale morente” (2001) o per la sua più grande visione sociale e politica e per l’escursioni storiche vedi:”Pastorale americana”(1997), “La macchia umana (2000), “Il complotto contro l’America” (2004) – anche se, ammetto, i grandi libri sono più divertenti da leggere, dal momento che offrono anche un ricco menu di attualità e distrazioni da ciò che l’Autore tiene, in ultima analisi, in serbo per ciascuno di noi. Siamo in America: è 1951. “Sdegno”, è impostato durante la Guerra di Corea in un piccolo collegio conservatore dell’Ohio – in una cittadina di nome Winesburg – ha qualcosa in comune con molti dei temi sociali rothiani – (mi si passi la forzatura). Esso evoca un brutto periodo della storia sociale americana (in contrapposizione a tutti quelli idilliaci), ma come i due precedenti romanzi, spietatamente inesorabile.

Il narratore, uno sgobbone chiamato Marcus Messner, passa per essere “il ragazzo più bello del mondo” della sua epoca superficiale e innocente.(Roth usa l’espressione everyteen: fantastico modo di dire con una parola sola tutto quanto). Negli anni delle superiori, vive uno stato di prudente, responsabile, diligente duro lavoro; uno studente che esce poco (ma solo con belle ragazze), un appassionato alunno dedito agli studi e alla squadra di baseball. E a Winesburg, Marcus studia tutta la settimana tabelle e letteratura e attende tutti i week-end per tornare dai suoi. “Ho voluto fare tutto per bene”, egli si spiega: “Se faccio bene, posso onorare i sacrifici di mio padre per mandarmi a scuola in Ohio, piuttosto che a Newark e di mia madre con il suo dover essere tornata lavorare a tempo pieno in negozio”. “L’estate dopo la scuola, Marcus lavora sessanta ore alla settimana nella macelleria kasher di suo padre a Newark – (ancora un altro esempio di ricerca di Roth, come il guanto in fabbrica “Pastorale americana”). Da vero conformista del suo tempo, Marcus ha l’obiettivo di diventare un valedictorian (studente modello), prima di avere rapporti sessuali. I valedictorian sono una delle “classi” nelle quali si riconoscono gli individui per dire gli ottimi studi che hanno fatto e la generazione cui appartengono (ma molti di questi cosiddetti big-one ancora oggi perdono la loro verginità durante le feste di pasqua dell’ultimo anno, prima del diploma: certi conformismi sono duri a morire). Roth è un grande a descrivere il carattere degli uomini del suo Paese forgiati dal conformismo del loro tempo.

Fin qui sembrerebbe un libro da encefalogramma piatto. Nel racconto, Marcus ha diciannove anni e appena cominciato a distillare un ritratto di se, dell’ambiente, del momento sociale. Ma la sorpresa, (di Marcus intendo che, come protagonista del libro, si trova a essere ostaggio della penna dell’Autore, e mia di lettore, che non posso oppormi perché la storia è stata scritta e stampata), si trova nella qualità che Roth dà al titolo, anticipatore di qualcosa di tremendo che sta per accadere con la sua implicazione di fronte alla violazione della dignità.

Marcus ritorna a scuola dopo le vacanze. La guerra nel Pacifico incalza. Lui e i suoi compagni hanno dovuto imparare che cosa è scritto nell’inno nazionale della Cina, “Alzatevi, voi che rifiutate di essere dei bondslaves!”-schiavi (una semplificazione dal mio inglese maccheronico). L’Indignazione riempie i cuori di tutti i nostri concittadini, / Alzati! Alzati! Alzati! Ora, nel corso di una guerra in cui la Cina è diventata il nemico, Marco canta questa chiamata alle armi nella sua testa quando lui e i suoi compagni sono costretti a partecipare in una cappella, a recitare inni e sermoni sull’esempio di Cristo. – E questa cosa del sacrificio in nome di tutti lo colpisce. E si oppone: “Opporsi non perché sono un attento Ebreo alle scritture, ma perché sono un ardente ateo.”dice.

Capirete bene che nell’America conformista di quel tempo opporsi a una guerra può sembrare sconveniente, in specie se hai da dire durante il sermone che questa non ti sembra una guerra giusta. Peggio poi, se lo dici a voce alta davanti ai convenuti. Ecco quindi che è convocato di gran fretta dal decano della comunità in ufficio per dare spiegazioni di questo dissenso. E lui serafico che gli risponde, come se niente fosse e quasi cantando la più bella parola in lingua inglese, “IN-DI-GNA-ZIO-NE”

Da lì, la vicenda si complica. Diventa uno scapestrato. Cambia la camera del dormitorio due volte, cacciato dai compagni per colpa del suo modo di guidare da folle. Né questo, né le sue successive infrazioni, legate tra loro con orribile inesorabilità, conterebbero qualcosa oggi, ne le conseguenze porterebbero a una qualche forma di danno. Ma, in un romanzo impostato nel 1951, questa serie di eventi per noi poco importanti sono più che sufficienti per portare sull’orlo del baratro sociale il malcapitato. Una certa analogia con la “macchia umana”, per chi si ricorda, di Coleman Silk e l’uso di una sola parola per cambiare gli eventi; per Marcus Messner, che ne richiede (al cappellano) due per cambiare la sua vita in eterno. Roth mantiene il finale a sorpresa con quelle due parole, che non commento per non rivelare come finisce la storia.

Certo che Roth si diverte a tenermi sulla corda. A un certo punto Marcus, viaggia da Newark a Winesburg, e in una macchina per la sua prima volta con una deliziosa signorina di nome Olivia, quando si arresta la sua narrazione a un punto ricco di suspense – un episodio più sorprendente per me che per lui. Certo, mi sono mancati i particolari… che frustrazione! Dopotutto le scorpacciate di Nathan Zuckerman mi avevano ben predisposto ad una scenetta piccante! Se il personaggio Marcus avesse avuto vita autonoma, sai quanti improperi all’Autore?

Come se la cava Roth con questa roba? La suspense, il segno oscuro, il rifiuto d’informazioni essenziali? Roth ha un segreto a mio avviso: ha una sua altissima fiducia come narratore e, paradossalmente, anche una suprema umiltà. La sua scrittura è al servizio della sua storia e dei personaggi; egli è un pragmatico, non uno scrittore elegante. Se alcune convenzioni di trama e la lingua fanno il proprio lavoro, perché avere fantasia? Egli può rompere la commedia quando l’occasione lo richiede.

La fine che non vi dico…

Accade quando Marcus offre la sua rivelazione: che semplicemente… egli è morto, e lo è stato “per non so quanto tempo” Roth fa dire al protagonista. E lo fa con tre pagine di eloquenza in un perplesso monologo, rendendo Marcus una più lucida e collegata versione di Samuel Beckett. Il protagonista senza nome di “Everyman” almeno ha un gioioso flash di se stesso come un bambino al mare; “Sdegno” che rende la fine spietata, sembra un libro sentimentale. “Everyman” e “Exit Ghost” entrambi hanno uno stato d’animo di dolorosa rassegnazione; questo libro va sul dolore selvaggiamente. E di tutti gli ultimi romanzi di Roth, questo va più lontano di quelli fin qui conosciuti.

per Bookavenue, Michele Genchi

copertinaPhilip Roth
Indignation
Houghton Mifflin Company

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