Podcast Vol. 4. Pat Metheny, ovvero: come il jazz può salvarvi la vita. Parte seconda.

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Come in tutte le storie familiari, gli anni stratificano le epoche con cui queste si sono costruite e sono andate avanti. La musica ha avuto, come tutte le cose, i segni distintivi delle passioni che si sono succedute; ci sono state diverse “mode” annuali così come mi piace ricordarle e altre più durature. Una di queste, ed è il tema del nostro appuntamento di questa settimana, è dedicata al mio musicista jazz preferito in assoluto, passione trasmessami da mio marito e fatta mia nella maniera più totale e coinvolgente che possiate immaginare.
I suoi dischi hanno testimoniato il passare degli anni con immutato amore ed è di gran lunga la “fila” più lunga nella discoteca di casa. I suoi concerti nelle varie città nel nostro Paese sono stati i soli per i quali abbiamo fatto sempre volentieri delle “trasferte” e, vi assicuro, ne è sempre valsa la pena.

Pat Metheny, questo è il suo nome, considerato non a torto uno dei migliori musicisti/chitarristi attuali, con meriti che sono superiori, per qualità e quantità, rispetto ai demeriti, occupa un posto fondamentale nell’evoluzione del jazz degli ultimi trenta anni. Pat Metheny, che festeggerà le sue 57 candeline il 12 Agosto 2011, ha sviluppato un suono ed uno stile molto personali, facili da riconoscere anche al primo ascolto, ma altrettanto difficili da descrivere proprio per le loro peculiarità che male si adattano a stili ben definiti, poichè vi troviamo il jazz nelle sue varie sfaccettature ed anche i richiami alle sue origini rurali, echi rock, fascinazioni brasiliane, schemi tratti dalla musica colta europea.

A vedere la collezione di casa, di per sè non molto ampia anche se estesa, si capisce che la sua produzione discografica è molto vasta e si sviluppa secondo strade parallele: lavori con il Pat Metheny Group, lavori a proprio nome, in trio, in duo, lavori orchestrali, colonne sonore e moltissime collaborazioni con John Scofield, Charlie Haden, Jim Hall, Milton Nascimento, Gary Burton, Jack DeJohnette (tutti dischi che il mio due di coppia non si è fatto mancare negli anni), caratterizzate da un continuo lavoro di ricerca che arriva a toccare alti livelli di sperimentazione.
Tra i tanti, il mio disco preferito rimane ” As Falls Wichita, So Falls Wichita Falls”, titolo che fa riferimento a Wichita, Kansas e Wichita Falls (un posto nel Texas). Anche se viene accreditato a Pat Metheny e Lyle Mays, “Wichita” è di fatto, grazie alla presenza di Nanà Vasconcelos, un disco in trio, perché l’apporto del grande percussionista brasiliano è spesso determinante nell’economia del risultato finale. “Wichita”, oltre a rappresentare uno dei punti più alti del rapporto simbiotico di Metheny e del suo alter-ego Lyle Mays, tanto affine dal punto di vista musicale, quanto completamente diverso da quello caratteriale, è una sorta di cartina al tornasole per capire quanto le idee musicali dei due si riversino nel PMG.

E’ una musica in equilibrio tra il jazz fusion, la world-music, il rock più etereo e il folk nord e sud-americano, una musica senza una precisa direzione se non quella di esplorare le potenzialità di una scrittura lineare, ma non per questo meno affascinante. Senza soffermarmi su altre composizione di “Wichita”, esempi dell’enorme capacità di dialogo tra Metheny e Mays, tra jazz, psichedelia e ambient, la splendida “It’s For You”, altra perla del disco, con un ipnotico “riff” delle tastiere, la voce, la chitarra acustica e l’assolo da brividi di Metheny alla chitarra-synth, fa di questo brano, senza esagerare, uno dei più belli di tutta la sua musica.
Ricordo a chi mi legge, che è stata anche parte della colonna sonora del film “Fandango”, in cui recitava un poco più che ventenne Kevin Costner alle prime armi. Per finire, vi consiglio l’ascolto di Dream of return con un vocalist con una voce che sembra quella di un angelo sceso sulla terra: Pedro Aznar e, un “must”, Are you going with me, uno dei suoi capolavori e preferiti in assoluto da mio marito, con la collaborazione recente della polacca Anna Maria Jopeck (ma ascoltate l’originale, prima). E, a proposito di Aznar, il “pezzo” che vi faccio ascoltare è: First Circle, titolo che ha dato in passato a questo sito il nome di una delle sue rubriche più famose e che calza con il suo contenuto: ma questa è un altra faccenda.
Mettetevi comodi: dura una decina di minuti. Buon ascolto.

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i libri:

Il libro, il solo in circolazione sìa pure con qualche difficoltà, e stato pubblicato da Editori Riuniti nel 2003 (editori: vergognatevi!). C’è un’evidente distanza tra la data di uscita e tutto quello che è stato prodotto da Pat Metheny dalla data di pubblicazione ad adesso. E la biografia del vincitore di quindici Grammy Awards, e di uno dei più famosi musicisti contemporanei. che ha firmato alcuni dei più interessanti episodi del jazz moderno. Instancabile ricercatore di tecnologie e strumenti, è considerato il più grande interprete della chitarra synth. Il lungo percorso umano e artistico di Metheny è raccontato attraverso dichiarazioni del protagonista, dei suoi famigliari e dei molti musicisti che l’hanno avuto al fianco. Il ritratto di un antieroe della musica dei nostri tempi.

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Più recente, anche se in inglese, è questa lunga intervista di Richard Niles.
Il libro raccoglie le risultanti di un special eseguito dalla BBC curato dallo stesso autore del libro Richard Niles e che raccoglie una serie di tre parti di interviste al musicista dove rivela perché è stato guidato verso la musica, dove si apprende il funzionamento della sua mente creativa e dove descrive il suo metodo come un improvvisatore chitarrista e compositore. Niles ha trascritto queste testimonianze con alcuni dei più stretti collaboratori di Pat Metheny, tra cui Lyle Mays, Gary Burton, Jack DeJohnette, John Patitucci, il fratello: Mike e il compianto Michael Brecker che hanno contribuito al libro e che comprende anche numerose fotografie e una discografia (evidentemente più aggiornata).

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2 commenti

  1. Grazie francesca per questo commento davvero professionale. Mi spieghi cosa significa la sigla PMG e se hai capito (oltre ai due riferimenti geografici) come tradurre il titolo
    “As Falls Wichita, So Falls Wichita Falls”?
    Quello di questo disco per me è stato uno degli ascolti più suggestivi mai fatti!
    Grazie
    Andrea

  2. Il tuo “pezzo” è molto carino e mi piace il tono quasi familiare, intimo che scrivi. Per essere contributiva, aggiungo che su youtube c’è tanta roba da ascoltare.

    Folk Singer
    (e “mò” prova a scoprire chi ti ha scritto)

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