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Podcast. Smooth jazz, vol.1: Grover Washington jr.

   Tempo di lettura: 5 minuti

Una sera di qualche tempo fa, mentre parlavamo di musica, a cena con degli amici, ho chiesto al mio due di coppia di raccontare quella volta che al Blues Halley di Georgetown nel ’88 si mise in ginocchio davanti ad un sassofonista. I suoi racconti hanno sempre l’effetto saporifero di una fiaba che si legge ai bambini per farli addormentare; corsi il rischio sapendo però che il suo amore per il jazz avrebbe potuto rianimare una serata piuttosto moscia. Raccontò che, guidato dalla Lonely Planet, alla ricerca di un locale dove ascoltare musica, capitò di imbattersi in questo locale e riconoscere l’autore di un paio di dischi già in suo possesso. Entrò mentre il tizio suonava Winelight. Alla fine del concerto gli si avvicinò e, non so con quale inglese si espresse, gli raccontò da dove veniva, del viaggio e della fortuna di averlo trovato per caso. La foto-polaroid, decisamente vecchia a guardarla oggi, suggellò l’incontro: la conserva come un cimelio. Per la cronaca: a fine racconto, metà delle persone si erano addormentate sul tavolo.

Uno dei sassofonisti più popolari di tutti i tempi, Grover Washington, Jr. è stato a lungo il battistrada del suo campo. Le sue radici erano in R & B e soul-jazz, ma ha fatto vere e proprie incursioni sperimentali. Gli americani dicono “player” inteso come un giocatore molto influente nel suo campo, G.Washington si spinse molto avanti con la sua spontaneità e l’assunzione di rischi di un musicista jazz magistrale. Per capirci, insieme a George Benson, Bob James, Chuck Mangione (a cui vorrò dedicare un prossimo articolo) e Herb Alper, è considerato uno dei padri fondatori dello smooth jazz (termine che definisce un sottogenere affiliato al jazz con caratteristiche stilistiche affini alla fusion, al pop e al R&B. È un genere ripulito dalle complessità armoniche e improvvisative del jazz, con maggior enfasi sulle melodie, sonorità più rilassanti rispetto alla fusion o al R&B, e quindi molto più orecchiabile e di facile commercio).

A Buffalo, sua città natale, suo padre Grover Washington Senior, suonatore di sassofono anche lui, è stato colui che gli trasmise la passione ed ebbe molta influenza sulla formazione musicale di Junior. Il figlio più giovane iniziò a suonare quando aveva dieci anni, e dopo soli due dall’inizio trovò lavoro in un locale. Fece esperienza con il quartetto dei Clefs dal 1959 al1963 e freelance nel corso dei successivi due anni, prima di trascorrere un paio d’anni nell’esercito: era già arrivato il tempo dell’età adulta e non se ne era accorto. Ma la guerra gli portò in dono l’incontro con Billy Cobham. Cobham, musicista di New York, che fece conoscere successivamente Washington a molti musicisti del posto. Dopo aver lasciato le armi il suo talento scorreva nei locali di New York. Si trasferisce Philadelphia nel 1967, diventando la sua città di adozione dove lavorerà con Charles Earland e Johnny Hammond Smith, registrando come “sideman” (per dire un componente a disposizione ) per l’etichetta Prestige. Il suo “colpo” è del 1971, quando Hank Crawford non poteva fare una registrazione per l’etichetta Kudu Creed e Washington fu scelto come suo sostituto: il risultato fu Inner City Blues, un disco risultato molto popolare. Da allora divenne un nome importante, in particolare dopo la registrazione del 1975 di Mister Magic e Feels So Good, e più tardi Winelight 1980, che comprende il bellissimo “Only for two of us”.

Anche se in alcune delle sue registrazioni di allora lo trovo un pò uguale come per inerzia, G.Washington di solito si “distende” molto di più in concerto: Soulful Strut è molto “orecchiabile”, per esempio. Ha sviluppato alcune “sue” voci personali sopratutto con il suono di soprano, tenore, contralto, (il baritono è raramente utilizzato). Grover Washington Jr. ha registrato come leader per Kudu, Motown, Elektra, e la Columbia e fatto apparizioni notevoli su decine di pezzi che vanno dal pop al jazz semplice. 
Peccato: morì per un attacco di cuore improvviso il 17 dicembre 1999, durante un’apparizione televisiva della CBS in uno Show del sabato sera: Washington aveva solo 56 anni. Aria, il suo ultimo album, è stato pubblicato postumo l’anno seguente.

Dallo scaffale di casa consigli per gli acquisti:

Winelight, prima di tutto, poi raccomando la raccolta che porta solo il suo nome, dentro ci trovate Strawberry Moon molto, molto bello e, anche, I can count the time. Da mettere come sottofondo per leggere, invece, da Soul box, Don’t explain e Aubrey.
Il pezzo che vi offro è un “live”: Winelight, cosa sennò?. Bellissimo. Buon ascolto e alla prossima.

 

I libri.

Che? Cosa? Chi?

anno seguente.

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