A passeggio con Charles Mingus

   Tempo di lettura: 8 minuti

Raramente capita di pensarci, ma stamattina mi sono accorta di abitare a Roma. So bene che state pensando che sia impazzita improvvisamente ma se resistete qualche minuto tento di spiegarvi come e cosa è successo.

Sono le otto e mezza e il mio due di coppia mi ha lasciata alla metro. Venendoci, mi ha raccontato dell’ora di macchina che lo affligge da qualche giorno e di come mettersi in moto, sapendo quello che quasi certamente lo aspetta, è come stringersi la corda al collo da soli. Mi ha intenerito sapendo che non avrebbe neanche potuto indossare le cuffiette per ascoltare la sua musica.

 

 

C’è un sacco di gente, sul marciapiede, come ogni giorno a quest’ora; non ne avevo intenzione, ma quasi per inerzia mi sono ritrovata le cuffie alle orecchie. La musica del leggendario concerto di Parigi di Charles Mingus mi ha presa subito. Il pezzo è quello del cd Revenge, si chiama Peggy’s Blue Skylight e mi ha fatto perdere il treno. Ma non è finita qui.

 

Tornata a casa eccomi a leggere gli appunti e qualche nota di questo straordinario contrabbassista che avrebbe potuto scegliere di fare altro tra: il pianista, il direttore di orchestra e/o il compositore. Fece tutte queste cose ma il contrabbasso rimase il suo strumento d’elezione e con cui tutti lo abbiamo conosciuto. Studiò con un altro paio di musicisti leggendari: Lloyd Reese e il suo maestro Harry Rheinshagen (che suonava alla filarmonica di NY, per capirci). La radio di allora ci mise del suo: era difficile sottrarsi all’ascolto di Duke Ellington che diede molta influenza su quello che Mingus diventò poi.

Si trasferì, molto giovane, dalla California dove viveva alla Grande Mela. Erano i primi anni dei ’50 e Charles Mingus aveva già passato un po’ di tempo in tour con Louis Armstrong, Lionel Hampton e Kid Ory: certe band, oggi, possiamo solo sognarle.
A NYC suonò con i più grandi della terra; degli alieni. Loro, si chiamavano: Charlie Parker, Dio in persona (Miles Davis), Bud Powel, Duke ancora e Art Tatum. E’ stato lì che Charles Mingus ha imparato ad essere molto di più che uno straordinario musicista: in quel luogo ha imparato ad essere un leader. C’è una foto che lo ritrae sul palco con Thelonious Monk al piano, Charlie parker al sassofono e Haynes alla batteria. E’ il 1953 stanno suonando in un famoso locale jazz e quella foto ha fatto epoca.  A metà degli anni ’50 aveva già registrato e “depositato” molta sua musica ancora da pubblicare: un patrimonio.

Fu questo incredibile impegno a rendere Mingus un artista d’avanguardia. Il suo straordinario talento creativo diede i natali a pezzi come Pithecanthropus Erectus, Mingus Dynasty, Mingus Ah Um, The Black Saint and the Sinner Lady, Cumbia and Jazz Fusion, Let My Children Hear Music. Ha registrato oltre un centinaio di album e scritto oltre trecento colonne sonore. Nel 1955 al festival delle arti di Brandei, Charles Mingus si consacra come uno dei jazzisti più influenti e importanti del suo tempo; con l’occasione presenta l’album “Revelations” con una orchestra di una ventina di persone. Ebbe un successo enorme.

Agli inizi del 70 diventa professore all’Università di Buffalo ed è l’anno della sua autobiografia.
Nella sua vita gli sono stati riconosciuti i suoi meriti con molti tributi compresa una Laurea Honoris Causa, ricevuta, proprio dall’Università dove insegnava. Ho letto da qualche parte che, con grande umiltà, riconosceva il suo talento compositivo come un dono del Signore, mentre la capacità di essere polistrumentista, solo il risultato di molto duro lavoro.
E’ morto nel ’79 e non ho veramente capito perchè, ma sua moglie lo ha fatto cremare e ha sparso le ceneri nel Gange in India. Non so se per una questione di fede. Cercherò di saperne di più.

A ripensarci adesso, nel silenzio di casa, sorrido: la sua musica mi ha accompagnata per tutta la durata della corsa tanto da straniarmi del tutto. A tal punto, da perdere la fermata e costringermi a scendere una fermata più avanti. Sono stata così distratta dai pensieri e dall’ascolto che all’uscita mi è sembrato di essere altrove, quasi per una magia. E’ durato il tempo di un “perdindirindina” (beh!, non proprio) e scoprire di essere ancora a Roma ma pure da tutt’altra parte. Avevo tempo e, a quel punto, ho fatto due passi in una città che non conoscevo. Mentre camminavo, pensavo al mio due di coppia perso, e con i capelli dritti, da qualche parte nel traffico del Grande Anello Infernale.

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Il concerto di Parigi dal titolo Revenge. Assolutamente imperdibile. E da quel concerto vi invito all’ascolto di”Parkeriana”, il pezzo da Youtube. Poi, manco a dirlo, con l’etichetta Blue Note, il CD Charles Mingus Sextet con Eric Dolphy. E ancora, un altra raccolta dal vivo del concerto al Carnegie Hall, e poi un disco con Mingus al pianoforte: Piano solo . Appunto.

 

I libri

Di Minimum Fax l’enorme (per il suo peso fisico: 482 pagine e per quello culturale) Mingus secondo Mingus. La rivelazione autobiografica frutto di ore e ore di registrazione. Una vera biografia del suono prima ancora che artistica e musicale. E’ l’antologia di un epoca ma anche un labirinto di stati d’animo, di intuizioni interdisciplinari dei compositori e performers di frontiera, capace di abbracciare, con la sua musica e la sua rabbia, ogni urgenza espressiva del secolo (in corsivo perchè la citazione non è mia, l’ho letta su un articolo ma non ricordo l’autore).

 

In questo libro, pubblicato da Baldini e Castoldi, il giornalista americano John F. Goodman ha raccolto una serie di interviste inedite a Mingus da lui realizzate fra il 1972 e il 1974, creando un nuovo autoritratto dell’uomo e del musicista. Con risposte di volta in volta lapidarie o torrenziali, candide o provocatorie, il grande contrabbassista affronta gli argomenti a lui più cari: la nostalgia per l’epoca delle big band e delle jam session e le perplessità rispetto ai più recenti sviluppi del jazz; il confronto con i critici musicali, da lui temuti quando non detestati; il delicato equilibrio tra la creatività estemporanea e il duro studio, tra l’originalità e la tradizione; le battaglie per l’indipendenza artistica in un ambiente dominato da discografici spregiudicati e impresari disonesti; i ricordi affettuosi dei colleghi e dei maestri scomparsi; i rapporti tumultuosi con le donne, passati attraverso numerosi matrimoni e altrettanti divorzi.

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