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Podcast. La voce della strada: Willis Earl Beal

   Tempo di lettura: 7 minuti

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Podcast è anche questo. Rivevere una mail da un mittente sconosciuto e tale vuol rimanere per raccontarci di un artista di strada che abbiamo subito amato. Non senza qualche verifica, s’intende. (FS)

riceviamo e volentieri pubblichiamo

Nessuno sa e conosce il terribile potere della musica. E del vagare, senza nome, allo sbando, alla ricerca di Penelope. Nessuno ha un nome che sembra quello di un romanziere, o di un attore, o magari di un graffitaro. E, infatti, Willis Earl Beal è tutte queste cose insieme. Oltre che – segnatevi questo nome – un provetto musicista, che promette ancor più di quanto già non stia mantenendo.Nessuno nel giro di due album ha smesso di essere un nessuno, la sua storia, breve ancora, acerba, sta in poche righe di vita e di Wikipedia, termometro di notorietà fatalmente destinato a salire, ad allungarsi.

Una piccola Odissea. C’era una volta uno scricciolo nero, nato a Chicago in un giorno non precisato, che appena ventenne andò il soldato, s’arruolò per venire subito scartato: problemi di salute, guai intestinali. Finì in ospedale, ci restò cinque mesi, ne uscì, finì a lavorare alla Sears Towers, grattacielo monstre di Chicago che oggi si chiama, vedi un po’, Willis Towers, un microcosmo in verticale dove esiste di tutto.

Nel 2007 il giovane nero dalla faccia di vita, bislunga, disarmonica, dentoni, una caricatura, rotolò fino ad Albuquerque, nel Nuovo Messico, dove si perse e ritrovò nei mille lavori di un giorno, nel dormire dove capita la notte, nell’accumulare storie dentro la sua piccola storia di «barbone», nel mettersi a dipingere, a volantinare, a suonare, con quello che c’era, col niente che aveva. Lasciava cd autoprodotti negli spazi pubblici, lasciava fogliettini disegnati da lui con annunci surreali: «Cercasi fidanzata». Un Odisseo da niente, a caccia della sua Penelope.Poteva finire qui. In un vicolo a faccia in giù. In un regolamento di conti tra papponi. In una retata di polizia. Invece è solo il prologo.

Qualcuno vide i volantini. Qualcuno rintracciò Nessuno. E Nessuno finì sulla copertina di Found Magazine, finì ai provini di un X-Factor, gli andò male ma fu meglio così, la ruota s’era messa a girare, il carillon della strada liberava quei brani cigolanti e assurdi, l’etichetta Hot Charity, che fa capo alla prestigiosa XL, ne raccolse alcuni: nasceva così Acousmatic Sorcery, 38 minuti di abbozzi, di voci dalla strada, di bassifondi in bassa fedeltà, di strumenti che non sono strumenti, di una voce ancora esitante eppure già orgogliosa; qua e là, dalle crepe di quel magma di musica e di vita, sgorgano stille di musica nera.

Quelle che, due anni dopo, in questo 2013, fluiranno copiose nel successore Nobody Knows, un successo da subito. Le trovate creative figlie della miseria sono già alle spalle, qui abbiamo un disco di maturità classica, musica nera della grana migliore: si apre col gospel di strada di Wavering Lines, si srotola in onde di rhythm and blues, di soul, di funky, di folk nero.

Inno al low-fi. La bassa fedeltà, il lo-fi come fa snob chiamarlo, non è scomparsa: finisce dentro brani autentici, diventa inferferenza creativa, non più impalcatura ma ornamento, eco d’esperienze, la palestra della strada, del non sapere il tuo domani. Del resto, cosa è mai il blues se non cenere di vita agra che si coagula in suono, in poesia? E allora, dal clangore di bidoni della spazzatura battuti nella intensissima Too dry to cry alle suggestioni waitsiane nella ringhiosa Ain’t got no love, alla rigenerazione di Cat Power, ospite su Coming Through. Ma, soprattutto, quella voce così nera, che si fa spazio tra il nero della notte, dei suoi echi, delle sue ombre, dalle sue spazzole lungo il congedo di Nobody Knows.

È una bella storia. Talmente bella che sembra irreale. Una storia sempre vecchia e sempre nuova, che scatena musica sempre nuova e sempre antica. Come la maschera di dolore del protagonista. Odisseo nero. Ma, per quanto si stia assistendo alla costruzione di una carriera, tutto sta succedendo davvero. Una voce come questa non si inventa: puoi edificarle attorno impalcature di suoni e di riverberi, di suggestioni black, ma o ce l’hai, o non se ne fa niente.

Sontuose ceneri. E questo album, nato da ceneri di povertà, è già sontuoso ma furbo, non eccede, asciuga i suoi rumori e dilata le sensazioni. È un omaggio sfrontato ai Maestri, un camminare con loro ma sempre un passo indietro. È un dare molto, ma non ancora tutto.

Willis Earl Beal, che compone, che suona e che disegna (sue le copertine, sue le animazioni nei video), canta come un uomo che ha già conosciuto la vita, ma anche che ha imparato che è lunga. E chiede di più. Sempre di più.

Che sia con una tastierina giocattolo o con un solitario pianoforte (Burning Brides), la vita trascina chi la canta. E se la canti come sai fare in Everything Unwinds, allora stringi con lei un patto: non la lascerai finché non ti lascerà, t’impegni a seguirla ovunque ti porti.

LE SIRENE DEL SUCCESSO. Oggi Nessuno, che non aveva un posto dove andare e mille posti da tentare, ha mille posti che lo aspettano, lo inseguono, lo cercano. La sua musica lo conduce. Nessuno sa. Sa che dovrà continuare ad ascoltare le sirene, senza finirne preda. Sa che le tante Calipso che oggi lo circondano, lo fanno sentire bello con quella faccia sghemba e quei dentoni, non durano.

Sa che, là fuori, è sempre resistere fra Scilla e Cariddi. Ma sa anche di avere un arco potente nella voce e una precisione formidabile nel centrare l’anima di chi ascolta.

Nessuno sa. Nessuno canta. Continua a cercare la sua Penelope. O la sua Circe.

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articolo non firmato

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