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Podcast. Un’anno senza Whitney

   Tempo di lettura: 4 minuti

Oggi ricorre il primo anniversario della morte di Whitney Houston. La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno e sconvolse il mondo: alcune persone del suo staff la trovarono annegata nella vasca da bagno della sua suite al Beverly Hills Hotel, le perizie legali riveleranno che fu stroncata da un micidiale cocktail di droghe. Era l’11 febbraio, aveva 48 anni.

Nata il 9 agosto 1963 nella periferia di Newark (New Jersey), Whitney era figlia di una cantante gospel, cugina di Dionne Warwick e figlioccia della mitica Aretha Franklin. Ebbe subito successo: a soli 23 anni fu premiata con un Grammy (successivamente ne avrebbe ottenuti altri 5) e i suoi primi album vendettero parecchio milioni di copie in tutto il mondo. Ebbe successo anche al cinema, con The bodyguard.

 

Poi iniziò un forte declino, sia sul piano professionale, sia su quello privato. In entrambi i casi sembra che il motivo sia stato il fallimento del suo matrimonio con il cantante Bobby Brown, durato dal 1992 al 2006. In quel periodo entrò nel vortice della droga e le litigate a suon di botte con l’ex marito finivano regolarmente sui giornali di gossip.

Ma anche ora che è morta continuano a non lasciarla in pace, e la cosa peggiore è che a speculare sulla sua storia siano proprio i parenti più stretti. Soltanto due settimane fa sua mamma Cissy, 79 anni, è corsa nel salotto di Oprah Winfrey per lanciare un libro di memorie, Whitney. My story of loss, love, and the night the music stopped. Nel libro mette in piazza i dettagli più scabrosi dell’infelice vita di sua figlia: dal turbolento matrimonio con Bobby Brown, alla lotta contro la droga, dagli sforzi fatti per riconquistare la sua fantastica voce a un rapporto lesbico che Whitney aveva custodito così gelosamente: quello con la sua collaboratrice e amica del cuore Robyn Crawford.

Giustamente madame Cissy è stata sommersa di critiche feroci e persino di insulti: in tanti l’hanno paragonata a Joe Jackson, il padre violento e molestatore di Michael, accusandola di essersi voluta vendicare di Whitney, colpevole di aver nominato sua erede universale la figlia Bobbi Kristina.

Comunque sono tantissimi i fan che continuano ad amarla: un recente sondaggio ha decretato che per gli americani la più bella canzone di tutti i tempi è I will always love you. Whitney è stata ricordata sia durante i party che si svolgono alla vigilia, sia durante la cerimonia di consegna dei Grammy 2013, avvenuta questa notte a Los Angeles. Chissà se ci sarà un pensiero per lei anche domani sera per la prima serata di Sanremo: del resto proprio sul palco dell’Ariston fu protagonista di un episodio rimasto unico nella storia del Festival. Nel 1987, dopo aver cantato All at once, il pubblico le tributò una straordinaria standing ovation, e Pippo Baudo la pregò di fare il bis.

Personalmente la incontrai in tre diverse occasioni nella prima parte della sua carriera, quando volava altissima nelle charts planetarie ed era di una bellezza allucinante. Nelle ultime foto che ho visto era irriconoscibile, imbruttita, con lo sguardo perso nel vuoto a causa delle troppe droghe assunte e di un pessimo stile di vita. Io voglio dimenticare queste immagini recenti e ricordarmela com’era: sorridente, sexy da morire, una donna affascinante con una voce incantevole. Come quella che stregò l’Ariston nel 1987.

Massimo Poggini [1]

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